L’angolo retto e il Signore delle cime

Ho avuto la fortuna di fare l’ufficiale degli Alpini. Prima allievo alla scuola militare ad Aosta, poi comandante di plotone a Belluno. Gli Alpini sono un corpo molto formale, ci tengono al gesto ben fatto, al gesto marziale perché preciso, esplicito e solenne. Il rigore della formalità rende immediatamente riconoscibile l’azione, ne mostra il fine e anticipa l’ordine nel quale si inserisce. Rivela consapevolezza e visione d’insieme. Un gesto ben fatto trasmette certezza: per questo la forma militare si manifesta attraverso linee rette, quadrati, angoli retti, meglio se rapidi e spediti. La formalità è il gesto prevedibile. La singolarità imprevedibile è quanto più possibile tacitata, o perlomeno strettamente regolamentata.

L’arte militare insiste molto sulla formalità. Non esiste esercito che non se ne curi.  Inculcare la formalità significa garantire ordine e fine comuni all’azione militare quando i singoli militari operano al di fuori del quadrato della caserma. Infatti, il potere di puntare un’arma, nelle situazioni più disparate e pericolose, deve essere trattenuto nel giusto ordine. Chi ha responsabilità di comando militare sa che militari non formali si trasformano presto in una masnada dispersiva e inefficace, ovvero di violentatori e saccheggiatori.

Il sistema formale militare ha all’interno di sé semplici principi di funzionamento economico: massima forza concentrata sul minimo punto. Efficienti per essere efficaci, come il moto verso lo schwerpunkt descritto da Clausewitz. La formalità militare trattiene in questo ordine. Ma se il sistema formale militare si pretende completo, le forze armate si riducono a una macchina, a un meccanismo autoreferenziale, onanistico, distruttivo e, da ultimo, violentemente implosivo.

Il sistema formale militare, al pari di un sistema logico formale, trova al di fuori di sé il fondamento adeguato al proprio agire. Per questo, ogni mattino, sull’attenti all’alzabandiera, ci devono essere uomini e donne che hanno saputo coltivare l’orto in una valle alpina, offrire vino e formaggio, tirare per gli zoccoli un vitello che nasce, tornare giù dalla cima di una montagna.

9 Comments

  1. Quella del gesto nell’epoca moderna e contemporanea è una storia ancora da scrivere. Da una parte si è cominciato a staccare la testa dal corpo, dall’altra si è sposato un principio – a mio giudizio – erroneo di libertà, intesa come ‘spontaneità’. In questo modo si è in gran parte persa una cultura del gesto, oggi implicitamente ritenuta superflua in quanto “È il pensiero che conta!” e “Ognuno si esprime come vuole!”. Nei contesti in cui però il gesto DEVE essere efficace – come accade nell’ambito della performance – si dimostra l’importanza assoluta della forma (basti pensare alla danza, alle cosiddette ‘arti marizali’; o a certi sport: se vuoi saltare più in alto degli altri i gesti sono quelli e non altri, e più riesci ad “appiattirti” su quei gesti predeterminati, più in alto salterai).

  2. La liturgia cattolica ed i suoi simboli (in apparenza) perduti

    La Chiesa Cattolica ha tramandato fino a prima del Vaticano II riti e gesti liturgici di elevato significato simbolico e iniziatici, risalenti alla Chiesa dei primi secoli. Perso il senso del simbolo e divenuti gesti vuoti, questi riti sono stati quasi tutti soppressi nella messa post-conciliare. Vale la pena di analizzarli per vedere quali fossero questi simboli.
    1. CHIESA E TEMPIO
    Gli Ebrei ed i primi Cristiani avevano due diversi momenti di adorazione:
    a) quella settimanale nella sinagoga, in cui il pio israelita cantava, pregava, ascoltava la lettura della Torah e riceveva istruzioni di morale e teologia, b) e quella, saltuaria, nel Tempio. La mancanza di tradizioni rituali più dettagliate (il Levitico è una sintesi) non consente maggiori dettagli su come operassero gli ebrei ed i primi cristiani nel tempio, ma è possibile che una volta distrutto il Tempio i primi cristiani abbiano iniziato a fare nella “domus ecclesiae” una parte dei riti che facevano nel tempio, che probabilmente differivano da quelli degli ebrei: ad es. nel giorno dedicato al culto o probabile che il rito della fractio panis, che sostituiva altri pasti sacrali, presenti nella liturgia collegate al Tempio antico; la sostituzione non significa però automaticamente che i riti cristiani nei primi secoli nelle chiese cristiane non contenessero alcun simbolo del tempio ebraico.
    Nei primi secoli la Chiesa teneva due diverse assemblee: una era tenuta al mattino, aperta anche ai non battezzati (che poi diventò la c.d. missa cathecumenium) che consisteva in canti, preghiere, lettura delle Scritture, esortazioni morali e spiegazioni dottrinali; l’altra (che poi divenne la c.d. Missa Sacramentorum) si teneva alla sera, era riservata ai battezzati, e comprendeva dei riti simbolico-iniziatici, quali l’Oblazione sacrificale e con la Santa Comunione.
    2. ARCHITETTURA ECCLESIASTICA
    A partire dal periodo in cui si cominciarono ad usare luoghi di culto specifici per la liturgia cristiana, la struttura delle chiese, fino al XI secolo, si mantenne sulla falsariga del tempio ebraico: dopo la porta di ingresso c’era un atrio chiamato Atrium; una parete o una balaustra segnava la fine dell’atrio e apriva l’accesso alla navata centrale chiamata Battisterio, oltre la quale, dopo un’altra balaustra od una ringhiera, iniziava l’area dell’altare, chiamata Presbiterio. Quasi sempre dopo l’altare c’era una abside, uno spazio a semicerchio e con il tetto a volta. Esisteva inoltre una stanza laterale, chiamata sacrestia, dove si vestivano i sacerdoti che officiavano al rito. Nelle chiese antiche il fonte battesimale era posto subito dopo l’ingresso della navata, oltre la prima balaustra. Il Tabernacolo, luogo della presenza di Dio nelle specie eucaristiche, era posto nell’abside, oltre l’altare, separato da questo da un velo. Solo più tardi il Tabernacolo venne posto subito dopo l’altare, ma mantenne la separazione dall’altare per mezzo di una tenda. In tempi successivi il Tabernacolo venne messo sopra l’altare e la tenda venne sostituita da una prima porta, aperta la quale c’era la porta del Tabernacolo; il conopeo prese posto della tendina, mantenendone le funzioni di separazione.
    Il significato simbolico di tutta questa architettura è semplice.
    L’atrio è aperto a tutti, ed è come il cortile esterno del tempio ebraico. La prima parete o balaustra rappresentava la seconda cerchia di mura, che racchiudevano il cortile interno, riservato ai Leviti.
    Nella chiesa cristiana primitiva la navata centrale (Battisterio) era riservata ai battezzati, come indicava il fonte posto appena dentro la porta.
    Solo i sacerdoti potevano poi oltrepassare la seconda balaustra ed entrare nel Presbiterio, dove era posto l’altare.
    Il passaggio da una parte all’altra, attraverso le balaustre, simboleggia il progresso dalla vita “senza Dio” (atrio) alla vita da Cristiano (battisterio) alla vita dedicata al servizio sacerdotale (presbiterio). Il tabernacolo anticamente rappresentava la dimora di Dio. Peraltro, quando gli imperatori romani, da Costantino in poi e fino al trattato di Worms fra Impero e Chiesa del 1122, decretarono il cristianesimo religione di Stato, essi misero la propria statua o la propria immagine, od addirittura la propria sedia, nel presbiterio, al posto riservato nel tempio a Dio, come profetizzato da Paolo: “Quel giorno (il ritorno di Cristo) non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non si stato manifestato l’uomo del peccato, il figliolo della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio, al punto di porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo che egli è Dio” (2 Tess. 2:4). Dopo l’estromissione dell’imperatore dalle chiese il posto del tabernacolo tornò ad essere dedicato a Dio.
    3. LA LITURGIA DELLA MESSA
    Il rito della Messa ha un ricco simbolismo nel quale il sacerdote, oltre che operare “in persona Christi”, opera anche “in persona Ecclesiae, agendo come per procura a nome di tutti i fedeli nel ri-presentare il Mistero della Salvezza.
    Anche gli abiti indossati dal sacerdote sono sempre stati ricchi di significati simbolici che rimandano alle cerimonie del tempio ebraico, pur senza ricopiarle esattamente. Alcuni scritti di Cirillo, vescovo di Gerusalemme del 4° secolo contengono alcune interessanti spiegazioni.
    L’ABLUZIONE
    La prima cosa che faceva il sacerdote quando entrava in chiesa era l’abluzione: anticamente era una vera e propria abluzione con acqua, nella quale il sacerdote si toccava alcune parti del corpo con le dita bagnate con l’acqua consacrata: la fronte, gli occhi, le labbra, le spalle ed il cuore. Poi questa abluzione venne ridotta ad un semplice “segno della croce” fatto con le dita bagnate in una bacinella d’acqua santa, toccando la fronte, il cuore, le due spalle e la bocca. Questa abluzione era parte del rituale sacerdotale ebraico fin dai tempi di Mosè e per i Cristiani era un richiamo del battesimo.
    Fino al 4° secolo quando i Catecumeni entravano nel Battisterio per essere battezzati guardavano verso occidente (la regione delle tenebre) ed alzavano la mano per rinunciare a Satana ed alla loro vita “senza Dio”. Poi si giravano verso oriente, la regione della luce, per iniziare la loro nuova vita. Nelle costruzione delle chiese si faceva il possibile per avere una finestra od una fonte di luce sul lato orientale, per avere un segno visibile della luce mistica che guidava quelli che entravano nel fonte battesimale.
    L’UNZIONE
    Dopo l’abluzione simbolica, il sacerdote toccava una ampolla di olio e poi si toccava con le dita la fronte, gli organi di senso, ed il petto. Questa unzione ridotta richiamava l’unzione più completa che ogni cristiano aveva ricevuto dopo il battesimo di acqua. Nella tradizione ebraica se l’acqua puliva dalle colpe era l’unzione con olio che rendeva sani e santi. Cirillo descrive l’unzione post battesimale come il segno che uno è divenuto veramente Cristiano, cioè Unto, proprio come Cristo era l’Unto.
    Il lavaggio e l’unzione simbolicamente eseguita in specifiche parti del corpo è un rito antichissimo: la fronte è la sede del pensiero, gli occhi sono le cose che si guardano, ma anche le verità che si vedono, le orecchie le cose che si ascoltano ma anche la capacità di obbedire; le labbra sono le parole che si dicono ma anche il dire le cose di Dio; il naso è ciò che si odora ma anche la capacità di percepire i profumi che sono l’essenza delle cose; le spalle sono la capacità di agire e di fare il bene; il petto è la sede dei sentimenti e della capacità di amare.
    Oltre che l’Eucaristia, nell’Ultima Cena Gesù istituì l’Ordine sacerdotale, istituzione che anche nel tempio ebraico era preceduta dalla Lavanda dei Piedi. I piedi sono simbolo del camminare e quindi dell’andare dove il Signore manda. Lavando i piedi degli apostoli Gesù esegue due riti: insegna loro ad essere servitori e non sovrani, e li ordina per essere suoi inviati e partecipi del suo sacerdozio sacrificale (“fate questo in memoria di me”) in ogni posto e in ogni epoca.
    LA VESTE BIANCA
    Sempre a ricordo del battesimo, dopo l’unzione il sacerdote si toglieva gli abiti della strada e indossava un camice; più tardi il camice venne indossato sopra gli abiti normali. Il camice era una veste bianca di lino, un antichissimo simbolo di purezza e di santità. Indossato il camice il sacerdote stringeva ai fianchi una corda bianca annodata, che probabilmente anticamente reggeva un grembiule, come facevano i sacerdoti ebraici (vedere Levitico 16:4). Dal testo del Levitico nella lingua ebraica, si capisce che i sacerdoti nel tempio ebraico indossavano delle brache di lino sopra la pelle, prima di indossare la veste, sulla quale era annodata la cintura.
    LA COTTA CON I SIMBOLI
    Sopra il camice il sacerdote indossava una cotta bianca, una veste corta con merletti sui bordi. Secondo alcune testimonianze pittoriche dei primi secoli cristiani su questa veste erano riportati i simboli del sacerdozio, poi trasformati in disegni geometrici ornamentali. Se il camice è il simbolo della purezza, la cotta è il simbolo del nuovo uomo nato col battesimo. Assieme alla veste bianca i neobattezzati ricevevano un nuovo nome, come menzionato in Apocalisse 2:17, simbolo dell’uomo nuovo sorto dalla morte del vecchio. Questa pratica rimase solo per chi si faceva monaco o veniva eletto Papa.
    LA STOLA
    Sopra la cotta il sacerdote indossava una stola, appoggiata sulla spalla sinistra e legata sul fianco destro, oppure appoggiata su entrambe le spalle e pendente lungo il petto fino alle gambe. La stola anticamente era simbolo dell’investitura sacerdotale di agire con autorità divina e conteneva i simboli dell’autorità. Con la stola addosso il sacerdote rappresentava Cristo ed agiva a Suo nome e nella sua Persona.
    LA PIANETA
    Sopra la cotta e la stola il sacerdote indossava la Pianeta, simile all’Efod degli Ebrei: una veste piana di colori sgargianti che nascondeva gli abiti sacerdotali e simboleggiava “la gloria di Dio” che il sacerdote assumeva su di sé per celebrare il rito per tutti i Santi.
    IL BERRETTO
    In testa il sacerdote metteva un berretto: nei primi secoli questo berretto era simile a quello dei leviti, rotondo e con due punte, usato ancora oggi dai vescovi. Dopo il 10° secolo il berretto usato dai sacerdoti mutò forma e divenne tondo alla base e quadrato alla sommità. Il cerchio è simbolo del cielo, il quadrato è simbolo della terra. Il berretto tondo e quadro simboleggiava che i pensieri andavano dalla terra al cielo. La cordicella che anticamente legava il berretto alla pianeta divenne poi un fiocco pendente sul retro della testa, prima di scomparire del tutto. Il significato simbolico del legare una cosa ad un’altra è di ricordare che devono essere mantenute assieme: simbolicamente le attività della testa (i pensieri e le opinioni) devono essere mantenute collegate alle attività del ministero sacerdotale rappresentato dalla pianeta.
    RIPRESENTAZIONE DEL MISTERO DELLA SALVEZZA
    La celebrazione della Messa è in realtà una ripresentazione del Mistero della Salvezza. Inizia con l’ammissione del nostro stato decaduto, prosegue con la professione di fede in Dio, in Gesù Cristo e nello Spirito Santo, culmina nella ripresentazione del Sacrificio di espiazione e comunione di Cristo, al quale si partecipa nella Santa Comunione: è l’ingresso nel Santo dei Santi. Tutti i fedeli si alzavano dai loro posti e venivano sulla balaustra, davanti alla porta del Presbiterio, per prendere il sacramento del Corpo e Sangue di Cristo crocifisso e risorto dalle mani del sacerdote.

    È interessante notare alcuni gesti eseguiti dal sacerdote durante la messa, ed il loro senso mistico.
    MANI ALZATE
    Le braccia tese e dirette verso qualcuno sono un antico simbolo di richiesta, di invocazione, di domanda di risposta, ma anche di stretta collaborazione. Nella mistica ebraica il lato destro è simbolo del corpo e della terra, mentre il sinistro è simbolo dello spirito e del cielo. Gesù sta alla destra del Padre, è il Dio della Terra. Alzare al cielo il braccio destro vuol dire invocare Dio per le cose materiali; alzare il braccio sinistro vuol dire invocarLo per le cose spirituali. Alzare entrambe le braccia vuol dire invocare Dio per ogni nostra necessità, e voler comunicare con Lui sia per le cose materiali che per quelle spirituali. Nella lingua ebraica PEI vuol dire “la mia bocca”; LE vuol dire “verso, collegare”; EL vuol dire “Dio”. L’espressione PEI LE EL significa letteralmente “La mia bocca rivolta verso Dio”.
    BRACCIO A SQUADRA
    Altre volte il sacerdote, specialmente quando prega, non alza le braccia al cielo, ma le tiene piegate a squadra, con le mani rivolte verso il cielo. Nella mistica ebraica il braccio piegato a squadra è simbolo dell’agire, del fare. Alzare l’avambraccio destro verso il cielo vuol dire impegnarsi a lavorare nelle cose materiali per obbedire a Dio. Alzare l’avambraccio sinistro vuol dire impegnarsi a lavorare nelle cose spirituali per obbedire a Dio.
    MANO A COPPA
    Cirillo spiega che quando il sacerdote prendeva in mano l’ostia, la teneva con tre dita della mano destra, mentre la sinistra veniva messa a forma di coppa, e nella coppa veniva appoggiata la mano destra. La mano a coppa è un simbolo del calice con cui si raccolgono le benedizioni del cielo. Allungare le mani in avanti con le palme verso l’alto e le dita piegate a coppa è un gesto che il sacerdote esegue quando chiede una benedizione a Dio
    MANO STESA
    Un’altra posizione che il sacerdote usa nella preghiera è la mano stesa, con le dita allungate e in linea con il palmo. La mano non forma una coppa ma una tavola, su cui Dio può scrivere. Tenere le braccia lungo i fianchi, piegare gli avambracci a 45° verso l’alto e tenere le mani stese vuol dire “Signore, parlami, io ti ascolto”.
    UOMO O ANGELO DI DIO
    A volte il sacerdote celebrava guardando il tabernacolo e voltando le spalle ai fedeli, per simboleggiare che era un emissario del popolo che si presentava alla porta della Casa di Dio a nome del popolo.
    Altre volte il sacerdote si girava con la faccia verso il popolo e la schiena al tabernacolo, per mostrare che in quel momento è inviato di Dio, per dare istruzioni al popolo.
    IL LIBRO DEI VIVI E DEI MORTI
    Prima della Comunione il sacerdote appoggiava sull’altare due tavolette ripiegate, dette Dittico, sulle quali erano scritti i nomi di persone malate o decedute per le quali qualcuno desiderava che l’assemblea pregasse. Il sacerdote recitava una preghiera che veniva inizialmente ripetuta coralmente dal popolo. In seguito il popolo si limitò a intercalare ogni brano della preghiera con l’ espressione di consenso ebraica Amen.
    L’ABBRACCIO SACERDOTALE
    Fino all’8° secolo subito prima della Comunione veniva eseguito il “Santo bacio” di cui parlò anche Paolo (1 Cor. 16:20), detto da Pietro “Bacio d’amore fraterno” (1 Pie.5:14) . Il sacerdote lo dava al diacono, e questi lo distribuiva ai chierici che rappresentavano il popolo; poi tutti i presenti abbracciavano un loro vicino, uomo con uomo e donna con donna. L’abbraccio sacerdotale è un antico gesto che racchiude un profondo e ricco significato simbolico. Nell’abbraccio il mio piede deve stare sullo stesso pezzo di terra del tuo, a indicare una comunione di fede. Le mie ginocchia sono pronte a sostenere le tue se vacillano, e viceversa. Il mio cuore è accanto al tuo cuore. Una mano è sulla tua spalla per consolarti, l’altra è sulla schiena, per proteggerti. La mia bocca è accanto al tuo orecchio, per parlarti in segreto. I miei occhi non vedono i tuoi, in segno di totale fiducia.
    IL VELO PER LE DONNE
    All’interno della chiesa gli uomini dovevano in antico restare separati dalle donne, e queste dovevano mettere sul capo un velo che coprisse capelli e viso. Anche Paolo parla di questo rito che non ha origini sociali ma misteriche. Il velo sul capo è simbolo antichissimo di sottomissione, e ricorda la frase detta da Dio ad Eva nel Giardino, dopo la caduta. “L’uomo dominerà su di te”. Sebbene l’uomo abbia per millenni interpretato questo dominio come un diritto a comandare sulla donna, come suggerisce il significato latino da Domare, il senso ebraico del termine è diverso: Meshòl indica governare dando una visione, mostrando la strada, essendo emblema di un potere più elevato, come per indicare che l’Uomo ha ricevuto da Dio l’incarico di essere guida e protettore per la Donna, non dispotico tiranno.
    CONCLUSIONE
    E’ innegabile che la Tradizione Cattolica abbia tramandato per secoli riti apostolici riferentisi anche a significativi momenti della liturgia del Tempio ebraico. Peraltro questo tramandare ha comportato la perdita via via del significato più profondo. È probabile che questi riti ed il loro contenuto simbolico facessero parte degli insegnamenti dati dagli apostoli alla prime chiese, ed è anche probabile che gli apostoli avessero ricevuto questi insegnamenti da Gesù Cristo durante i 40 giorni in cui spiegò loro molte cose relative al Regno di Dio, prima di salire al cielo.
    È necessario restaurare l’insieme dei rituali della Tradizione cristiana e delle cerimonie simboliche del tempio ebraico e riportare alla conoscenza dei fedeli i riti che sono andati perduti o corrotti, come parte della restaurazione di tutte le cose. L’identità di questi riti, simboli e misteri con la Sacra Missa Sacramentorum della Chiesa Cattolica dei primi secoli è un ulteriore testimonianza dell’apostasia avvenuta nel mondo cristiano e della necessità di una restaurazione escatologica, quale quella promessa da Cristo e che pare oggi in parte realizzarsi grazie al Papa attuale.

  3. Carlo: tutto da approfondire. Infatti uno dei temi che mi piacerebbe affronare prossimamente è proprio il legame tra immagine e gesto (che non sia il tagliare la tela et similia).

    Rite promissum. Grazie per questa segnalazione. Il testo, a quanto mi risulta, è tratto da un sito della “Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni” (Mormoni). Molte notizie utili, anche se alcune non riesco proprio a seguirle come, ad esempio, quell’indugiare sul tempio con il relativo sacerdozio levitico e il discorso dell’apostasia.

    Però, e questo è interessante, sono due tentazioni ravvisabili anche in certo cattolicesimo tradizionalista.

  4. Non è mio. Ho provato a correggerlo, nei punti più grossolanamente lontani dal pensiero della Chiesa cattolico-tridentina, in cui sono tornato recentemente. Se vi può servire come insieme di appunti, ve lo lascio e vi saluto.

  5. Riguardo l’interessante commento di Rite Promissum sul rito primitivo, non essendo pienamente dentro l’argomento, mi chiedo se è tutto storicamente dimostrabile o ci sono a tale riguardo dubbi, essendo stata la liturgia molto modificata nel corso dei secoli? Chiedo questo perché sto lavorando da tempo a un articolo sulla basilica paleocristiana, ma non sono ancora riuscito a terminarlo e queste informazioni, se verificate, potrebbero tornarmi molto utili. Oppure se qualcuno mi può consigliare qualche pubblicazione.
    Grazie.

  6. sul paleocristiano ci sono molte pubblicazioni, ma da quanto ho capito, (non sono espertissimo) a seconda della tesi da dimostrare ci vedono un po’ quello che vogliono.
    Io mi fido molto delle indicazioni bibliografiche di lycopodium, se passasse di qua…

    Per quanto riguarda i testi qui sopra credo che sia interessante e anche fondato. Sicuramente l’accento sulla vicinanza con il sacerdozio levitico è eccessivo.

  7. Domine, non sum dignus!

    p.s.
    Qui http://sivanart.altervista.org/agosto09/architetti_di_dio.htm ho trovato questo sintomatico pensiero di Le Corbusier:
    «Le nostre riflessioni ci hanno portato ad ammettere in tutta sincerità, in tutta coscienza, che non possiamo costruire una chiesa cattolica: ciò per due ragioni. La prima è che, se vogliamo rispettare il culto cattolico e le sue tradizioni, possiamo solo “modernizzare” con il cemento una concezione preesistente. La seconda è che, se seguiamo la via che ci è cara, pensiamo di creare un luogo di meditazione. Ora, in tale quadro, gli oggetti del culto cattolico appaiono paradossali».
    Effettivamente, quando poi la chiesa l’ha realizzata, il “paradosso” l’ha confermato (rimando alle critiche dell’arch. Sandro Benedetti, in merito).

    pp.ss.
    Non ho sotto mano il libro di Dianich di cui al link (per leggerlo servono 37 euri e 37×24 ore), ma temo che la sua base di partenza (genericamente progressista) funzioni da handicap. Chi vivrà vedrà.

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