Nella messa tridentina ogni gesto è preciso e solenne. Non c’è improvvisazione ma, semmai, solo impreparazione nel rispettare una forma. Una forma che non è fine a se stessa ma che conduce ad aderire al mistero celebrato, esplicitandone la ricchezza di senso.
La forma precisa e codificata nel minimo dettaglio della liturgia ne costituisce la forza. Perché ne garantisce l’identità e la sua trasmissione. Allo stesso tempo la liturgia non è mai stata immutabile. Non le appartiene l’immutabilità. Al pari di un organismo vivente che ha ricevuto vita dalla vita, se la liturgia si chiude in una struttura codificata, emula di una pretesa perennità, muore. La forza della forma si capovolge in debolezza.
La liturgia è azione di Dio con la Chiesa. E’ vita. Non solo, è vita che si vede ricreata, rivivificata. Come lo Spirito aleggiava sulle acque vivificandole, così dalla Croce il dono dello Spirito ha rinnovato il creato. Donando lo Spirito, che è amore, ed è libertà, l’uomo è chiamato a partecipare della salvezza, e a portarne l’azione. Per agire nella storia, Dio si affida agli uomini, chiedendo la loro conversione. La liturgia non prescinde dalla storia, appartiene al già e non ancora.
La messa nella forma pio-giovannea ha corso il rischio, come tutte le forme, di cristallizzarsi. Cito due esempi estremi: il “celebrare alla parete”, secondo la denuncia di Ratzinger in La festa della fede, e le pie donne che partecipavano alla messa recitando il rosario.
La messa secondo la forma postconciliare corre il rischio opposto, con la spontaneità arbitraria preferita al rigore del gesto e la libertà capovoltà in miscomprensione babelica. Denunciare complotti massonici alla fine è semplicistico, e alla fine poco utile. Lo può essere per regolare i conti con la storia, ma non per giovare alla liturgia. Ci si ritroverebbe solo a dire che il Novus ordo è “celebrazione luterana”, o amenità del genere.
Credo che gli uomini che celebrano la liturgia corrano un rischio, qualunque sia la forma del rito. Con il vecchio rito si rischia di rimanere irrelati, sconnessi nel rapporto con la natura e la cultura. Con il nuovo rito, di essere talmente relazionati alla natura e alla cultura da mostrare sudditanza nei loro confronti.
In questa direzione, trovo confortante quanto scrive Cavalleri su Avvenire (riportato anche su wxre dove ci sono dei commenti da leggere).
Io aggiungerei questo.
La promozione/ricezione della riforma liturgica è avvenuta con uno spirito “antiliturgico”.
L’esempio della comunione in piedi e nelle mani è paradigmatico.
In sè, nulla da dire, se l’una e l’altra sono sostenute dalla percezione del dono ineffabile che ci viene eleargito.
C ‘è un MA:
la differenza sostanziale è che – nel mondo secolarizzato – lo stare in piedi e il prendere di mano hanno spesso a che fare con una mente prometeica, incompatibile con lo spirito della liturgia.
Ed ecco la necessità della ricalibratura mistagogica di questa perversione secolarista.
Grazie lycopodium (anche per l’intervento nel post precedente). Sono perfettamente d’accordo sulla ricalibratura mistagogica.
La discussione si è allargata.
http://www.rinascimentosacro.com/2009/08/vita-e-forma.html
Egregio lycopodium,
rispondo al tuo intervento sul blog di Padre Auge’.Affermi che i commenti su quel blog sono inutilmente polemici.I commenti sui blog messainlatino,
Fides et forma,etc invece cosa sono?Ti ricordo che qualcuno su quel blog ha osato offendere la memoria di Mons.Annibbale Bugnini definendolo
“massone”con grande disprezzo.Altri con si sono permessi di chiamare il Servo di Dio Paolo VI° “assassino”della liturgia.Quindi le prediche valle a a fare su altri blog.I nostri commenti rispetto a quello che dicono persone tipo MIC(Maria Guarini) oppure al professor Dante Pastorelli sono acqua santa.Fammi il favore non dare lezioni agli altri.Se hai qualcosa di sensato da dire fallo ma non giudicare le opinioni degli altri.Scusami la franchezza.
Sig. Troisi,
mi tengo a rispettosa distanza di sicurezza dai blog provvisti di visitatori dotatissimi di eccessiva vis dialettica e, sinceramente, non vedo perchè mi dovrei sottoporre proprio ora.
Continuo a ritenere troppa polemica del tutto inadeguata.
Quanto alla sensatezza, lascio giudicare a chi mi conosce davvero.
A delvisibile. Sono d’accordo con quanto Lei dice molto bene rispondendo a chi lo taccia di serpentismo in RS, e chiarendo così ancor meglio quanto ha postato con titolo “Vita e forma” ieri. La ritualità in genere – come Lei sa – non è irrilevante, dato il nesso tra significato e significante. Ciò vale anche per la ritualità che qualifica la liturgia cristiana, che non è un incontro con “Qualcuno di indefinito” ma con il Dio che ci è venuto incontro in Gesù Cristo. Appunto l’Incarnazione – come Lei ricorda – fa la differenza di significato. In verità l’Ecclesia orans è sempre rivolta versus Deum, sia che il sacerdote sia orientato all’assemblea o a oriente o all’abside. Al suo scritto aggiungerei nozioni di teologia liturgica (per approfondimenti di qualità cf. liturgia-opus-trinitatis di Augé). Premesso che l’Eucaristia è per tutta la Chiesa, domando: la messa “ritualmente” è del prete (vedi l’ordo missae tridentino – 1570 – che non prevede alcuna rubrica per i fedeli, i quali ritualmente non esistono e di fatto “assistono”; da qui la recita del rosario, anche comunitaria; la Comunione era distribuita prima o dopo la messa ), oppure la messa è azione (anche ritualmente intesa) del popolo santo di Dio, soggetto dell’azione liturgica con-in-per Cristo? Che sia azione rituale della Chiesa intera (cf. Sacrosanctum Concilium 7) lo ricorda bene il Canone Romano (sec. IV-VI), in vari modi, tra cui: “nos servi tui sed et plebs tua sancta, offerimus praeclarae maiestati tuae hostiam puram, sanctam immaculatam, Panem sanctum vitae aeternae et Calicem salutis perpetuae”. Non è dunque soltanto la ritualità vista in se stessa da valutare (dialogante o meno con natura e cultura), ma anche il significato di chi agisce o non agisce ritualmente. Ad es. alle sue considerazioni tra le due forme espliciterei la decisività della liturgia della Parola (dialogo hic et nunc tra Dio e il suo popolo), essendo parte essenziale della Messa (cf. Sacrosanctum Concilium 56). Non a caso Sacrosanctum Concilium 48 dice: “Per questo la Chiesa dedica sollecite premure a che i cristiani non assistano da estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma, ben comprendendolo attraverso i riti e le preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente….”. Non a caso Sacrosanctum Concilium, al n. 49, dice: “L’Ordinario della Messa sia riveduto in modo che risaltino più chiaramente la natura specifica e la mutua connessione delle singole parti e sia resa più facile la partecipazione pia e attiva dei fedeli”.
Concordo assolutamente con il post.
Con un distinguo, credo importante: ciò che io rimprovero al nuovo rito è di aver fallito il suo obiettivo dichiarato, cioè il favorire il coinvolgimento dei fedeli. In realtà, per quella che è la mia esperienza, un po’ come accade per la democrazia partecipativa, nella maggior parte dei casi il reale coinvolgimento riguarda 4-5 persone, sempre le stesse ogni domenica. Se si esclude il momento della Consacrazione e – forse – quello del ‘Padre nostro’, io nelle messe che frequento avverto raramente il coivolgimento dei fedeli. Se, ad esempio, si scattasse una fotografia in una moschea e con Photoshop si cancellasse lo sfondo, nessuno potrebbe avere dubbi sul fatto che quelle persone stanno partecipando a un rito. Se si facesse la fotografia in una nostra chiesa si vedrebbe: quello che ascolta, quello che prega, quello che legge il foglietto, quello che dà un’occhiata ai bambini, quello che pensa agli affari suoi, quello che cerca la posizione più comoda delle gambe ecc. Da questo punto di vista, la messa non è diversa da un comizio, dalla riunione condominiale di cui parla Mosebach, da una conferenza o da una lezione universitaria. Anzi, se, mentre faccio lezione, a un mio studente suona il cellulare, quello sprofonda nell’imbarazzo; al contrario, mi è capitato più di una volta di vedere a messa persone nelle ultime file rispondere al telefono tranquillamente, senza avvertire il minimo disagio.
Concedetemi una battuta: se un esame universitario (uno di quelli di oggi poi…!) invita a un maggior rispetto e a una maggior partecipazione di un Giudizio Universale, forse qualcosa non funziona…!
Correzione del commento precedente: “se si esclude” va sostituito con “se si escludono”
Pignolerie a parte, credo che proprio la rinuncia al gesto significante, sia uno dei motivi (certo non l’unico!) di questa mancanza di partecipazione da parte dell’uditorio. Ciò è dimostrato proprio dalle ‘eccezioni’ sopra evocate (l’Elevazione dell’Ostia è un gesto quanto mai significante) e dal fatto che la messa è un evento che, per gran parte della sua durata, si può tranquillamente solo ascoltare. Nel vecchio rito invece erano più coinvolti anche altri sensi, come la vista, l’olfatto e direi anche il tatto… Va detto però che, in questo senso, il nuovo rito è solo il culmine di un processo ‘degenerativo’ iniziato molto tempo prima; tant’è che già nell’Ottocento si usa l’espressione “Sentir messa”… Nel medioevo e nella prima età moderna questa espressione sarebbe stata semplicemente assurda!
Gentili amici
l’ analisi sulla scarsa partecipazione dei fedeli alla liturgia sono corrette e condivisibili.Non sono d’accordo pero’ nell’addossare tutta la responsabi
lita’ al Novus Ordo Missae.A mio modo di vedere la gran parte della respon
sabilita e’ da ascrivere alla scarsa formazione ed educazione liturgica dei Sacerdoti ma soprattutto dei fedeli.Cio’ e’ stato ben spiegato da Padre Auge’.Il Concilio Vaticano II° nella costituzione Sacrosantum Concilium
prevedeva e auspicava la formazione liturgica dei fedeli e esortava i pastori a impiegare le propri energie a questa educazione.Per vari motivi
cio’ non e’ avvenuto per questo il popolo di Dio continua ad “assistere”alla Messa ,come faceva nel Vetus Ordo Missae,invece di partecipare come avrebbe voluto il Concilio.La responsabilita’ non e’ del Nuovo Rituale della Messa ne’ di chi lo ha riformato ma della ,non avvenuta formazione.
Da qualche mese ormai “prendo Messa” secondo il rito tridentino, resosi disponibile nell a mia città, Bergamo, a seguito del motu proprio papale. Non so come fosse temporibus illis, io ho 33 anni e non ho pertanto esperienza del pre-concilio, posso però dire che le celebrazioni cui assisto, pur non prevedendo rubriche particolari per i fedeli laici partecipanti, sono decisamente e fortemente partecipate, sia a motivo delle differenti “azioni” liturgiche compiute dal celebrante all’indirizzo del popolo, dall’aspersione iniziale, all’assoluzione, alle parti cantate alternatamente tra uomini e donne, alle frequenti genuflessioni di fronte al riconoscimento della divinità di Cristo e diversi altri accorgimenti liturgici, senz’altro possibili anche nelle Messe Novus Ordo, ma che di fatto lì non ho quasi mai visto posti in essere.
Tutto questo per dire, o meglio ribadire come già e più autorevolmente è stato fatto, che l’actuosa partecipatio è possibilissima anche nel rito antico, ed è dunque destituito di fondamento l’assunto secondo il quale la partecipazione sia più difficile o punto impedita nella Messa Vetus Ordo, tutt’altro.
Ora, è evidente che la forma, proprio nella sua natura viva di causa formale, non può cristallizzarsi in un unico rito stabilito una volta per tutte, pena la perdita della propria virtus causandi, dunque una liturgia che si pretendesse irreformabile sarebbe eo ipso morta. D’altra parte una riforma che non fosse analogica, ma deformasse la precedente, non potrebbe del pari definirsi tale, ma andrebbe riconosciuta nel novero delle aberrazioni. Per molti versi, nonostante la Sacrosantum Concilium, è difficile scorgere anche solo una tenue analogia tra le due liturgie oggi.
Molto di questo è dovuto anche ad orribili traduzioni banalizzanti. Un esempio su tutti è l’aver tradotto il verbo “tollere” nell’Agnus Dei Qui tollis… con togliere, se l’avessi fatto io in quarta ginnasio mi avrebbero pelato le nocche. Si perde tutto l’aspetto sacrificale del tollere latino, perdendo la ragione del valore espiatorio dell’Agnello.
Quando insomma si dice che il senso del sacro, ovvero della consapevolezza di fronte al Trascendente, è conservata nel rito antico meglio che in quello in uso oggi, non si dice cosa falsa, purtroppo.
Ed è proprio questa migliore tradizione della sacralità, di contro ad un saeculum sempre più banale, che riscuote, per quel che ho potuto constatare, una partecipazione molto più intensa da parte dei fedeli. Diversi bambini accompagnano i genitori a queste funzioni, liturgie considerevolmente più lunghe di quelle “normali”, e stanno tranquilli e attenti tutto il tempo, al contrario di quanto accade là dove pure si cerca di attrarre la loro attenzione in modo specifico, magari con chitarre e battimani all’uopo. Pare che il gregoriano sortisca effetti migliori, probabilmente i sensi estetico e del sacro infantili sono più raffinati di quanto non crediamo.
Un saluto a tutti
Egregio Gianpaolo,
non condivido questo dualismo Messa antica Messa Moderna.Non esistono due Messe.La Messa è una sola indipendentemente dal Messale antico o moderno.La Messa antica sussiste in pieno nel nuovo Messale Romano.
Tutti valori espressi nela Rito Tridentino sussistono in quello nuovo.Quello che cambia solo le forme ma il contenuto e’ uguale.D’altronde e’ lo stesso Papa Benedetto XVI° a dirlo nella Summorum Pontificum
Non ho mai scritto di due Messe in opposizione l’una all’altra, nè lo penso, nella settimana feriale, e quando non posso fare altrimenti, non ho alcun problema a frequentare la S. Messa secondo il novus ordo, certo quando ho la possibilità di frequentare il vetus ordo, lo faccio volentieri per i motivi su esposti.
Sull’indifferenza della forma rispetto al contenuto, invece, specialmente nell’ambito liturgico, dove la forma è sostanza, non posso convenire. Così che, volendo affermare la continuità tra i due riti, non farei riferimento ad un unico contenuto, significato in forme diverse, cosa appunto in quest’ambito di per sé improbabile, ma punterei sull’unicità e la salvificità del Sacrificio ex opere operato, propria di entrambe le liturgie.
Dopo di che, fatta ovviamente salva la validità di entrambe – ma prego di ricordare che quest’ovvietà si è dovuta riaffermare a forza di un motu proprio papale, altrimenti, fosse per il buon cuore degli “spirito-vaticanosecondisti” a tutt’oggi non avremmo ancora la possibilità di celebrare secondo il rito antico – mi permetto di dire che per come oggi è andata sagomandosi la celebrazione secondo il novus ordo, salvo alcune rare eccezioni, trovo significato più adeguatamente nel rito antico il Sacrificio eucaristico, ragione per la quale accordo a quest’ultimo la mia preferenza.
Cordialmente
Torno al blog, ringraziando per la ricchezza dei commenti e, dati i tempi, anche per il tono con cui sono stati espressi.
Mi permetto di ricordare al Sig. Troisi che Fides et Forma non infanga la memoria di nessuno, riporta semplicemente quanto affermato da un valido giornalista cattolico, direttore della famosissima rivista Inside the Vatican.
Occultare le verità che vengono man mano rivelate non è una operazione molto cristiana. Tradurre e diffondere reportage importantissimi di un giornalista di lingua inglese nati dalle indicazioni del venerando Card. Gagnon credo che sia una operazione “apologetica”.
Grazie