La chiesa di San Rocco risale al XVII secolo e si trova nel piccolo centro di Ameno. Nell’ultimo secolo è rimasta perlopiù inutilizzata. Da un pezzo è sconsacrata. La struttura muraria è fortemente degradata ed è stata messa in sicurezza. Il tetto è prossimo al crollo.
Il paese di Ameno, che ha poche centinaia di abitanti, ha quasi venti chiese, belle, storiche e in buono stato.
La diocesi di Novara, proprietaria della chiesa di San Rocco, non ha risorse da dedicarvi e ha offerto la struttura in comodato d’uso al comune che, a sua volta, si è rivolto all’associazione locale Asilo Bianco per studiare possibili soluzioni e utilizzi dell’edificio.
Con questa finalità, dunque, inizia oggi il workshop “San Rocco, Ameno. Creatività e innovazione verso nuovi modelli replicabili di restauro ed economie di scala per la tutela del patrimonio storico e architettonico”. L’obiettivo è quello di creare un modello replicabile a cui fare riferimento in situazioni affini di avanzato stato di degrado o di risorse economiche ridotte. “La sfida consiste nel condividere un tavolo di idee progettuali al fine di sensibilizzare l’attenzione del pubblico rispetto alla conservazione ed al futuro mantenimento del bene innescando meccanismi virtuosi per la tutela del patrimonio ponendo una particolare attenzione agli aspetti economici e gestionali dell’intervento”.
Dato che si sta allargando sempre più il fenomeno di chiese destinate ad altri usi, mi appunto qui alcune domande, ancora imprecise ma sicuramente imprescindibili (almeno per questo blog).
- Ha senso il recupero di una chiesa, nelle sue forme originarie, per farla diventare altro? Ha senso il recupero di una chiesa come involucro?
- Ha senso il recupero di una chiesa per stratificare linguaggi, funzioni, significati diversi, magari estranei e perfino conflittuali tra loro?
- Il linguaggio formale dell’architettura dell’ultimo secolo mostra indifferenza in relazione ai diversi compiti edilizi (tipico il caso di una chiesa che non si distingue da un museo o da un centro commerciale). Delineare un “modello replicabile” di intervento è possibile? O significa non tenere conto del contesto in cui è realizzato? Significa replicare l’indifferenza tipica dell’approccio moderno?
- Quale estetica, quale etica, quale ontologia sono presupposte da simili scelte?
- Ci sono destinazioni d’uso che rimangono meno estranee e conflittuali rispetto a quelle originarie? Una sala per conferenze e concerti? Uno spazio per attività sociali? Uno spazio espositivo?
- Meglio abbattere? Può essere preferibile la perdita di un edificio che si inserisce armonicamente con il resto del centro abitato?