La finestra sul cortile (Rear window) di Hitchcock: ecco cosa è facebook. Lo avevo scritto scherzosamente sulla pagina di facebook, nel 2009 poco dopo esserci entrato, ma credo che il paragone possa offrire qualche ulteriore spunto. I post di facebook sono rettangoli impilati che si succedono uno sopra l’altro; hanno dentro volti, parole, foto, video, musiche, grida, sospiri, passi di danza; incorniciano scampoli di vita esattamente come le finestre della facciata che si aprono sul cortile interno del film Rear window. Tutti quando aprono facebook si affacciano su un cortile con dentro “vicini”, o “amici”, come la ballerina, i freschi sposi, il musicista infelice, il cuore solitario, la sbarazzina, il commesso viaggiatore…
Hitchcock disse che La finestra sul cortile è “totalmente un processo mentale condotto attraverso mezzi visivi”. Roberto Calasso, in un breve saggio dedicato al film, aggiunge che Rear window è come “il teatro di posa della mente” e avanza una lettura orientale (e vedantica) del film. Sintetizzando le due posizioni potremmo dire che il cortile è il mondo, e il mondo altro non è che rappresentazione. Allo stesso modo, il mondo non è che rappresentazione, e la rappresentazione è facebook. Quando apriamo facebook, siamo tutti come James Stewart con gamba ingessata e binocolo, affacciati sul cortile. Il residuo di realtà, se mai esiste, è quello spicchio minimo di strada che nella scenografia del film si intravvede in alto a sinistra, verso Park Avenue; allo stesso modo la x in cima a destra del pc permette di uscire dalla finestra di (rear) Windows e accedere alla realtà. Ammesso che la realtà esista… perché di sicuro mai nessuno l’ha vista con i contorni così definiti come quando appare nei post (nelle finestre) di facebook.
L’occhio di James Stewart è ingessato e sovrano: tutto quanto si trova davanti gli è disponibile. Calasso dice che è l’atman, il Sé. E davanti al Sé c’è la fabbricazione dell’Io (ahman) ovvero il mondo variegato e molteplice, quell’apparenza che apparendo infonde l’impressione di un io, di un io che si relaziona al mondo. Allo stesso modo, noi davanti alla tastiera siamo James Stewart, il Sé, che tutto ha davanti disponibile, mentre l’Io è il nostro account di facebook, è la nostra foto profilo che dice, che commenta, che dibatte, che fa e disfa insieme a tante altre foto di facce che dicono, commentano, dibattono, fanno e disfano, immerse nell’apparire di un flusso digitale, molteplice, indistinto e continuo. Calasso dice anche questo: il Sé che guarda è come il brahmano che vigilia sull’azione dell’io, dell’officiante. E ogni azione è sacrificio o discende dal sacrificio che è l’azione per eccellenza. Il Sé vigila sull’io che compie l’azione, ovvero il sacrificio, ovvero distruzione che restituisce. E in effetti, in Rear window, James Stewart, il brahmano, vede, osserva, scruta il commesso viaggiatore, ovvero l’officiante dell’azione sacrificale, ovvero l’assassino (ma, puntualizza ieratico il nostro editore, leggere il sacrificio come assassinio è solo una tara dell’occidente). James Stewart (il Sé, il brahmano) osserva il commesso viaggiatore (ovvero il proprio io immerso nella rappresentazione del mondo, ovvero la propria foto profilo) che compie l’azione, che non può non essere sacrificale (ovvero restituzione che è distruzione).
Andiamo avanti. Se guardiamo a tutto il film con occhio vedantico, si constata che l’azione del commesso viaggiatore si inserisce dentro un cortile, ovvero un mondo, che vive forti conflitti e tensioni, tra loro irrelati quanto profondamente collegati. La pacificazione del cortile avviene solo grazie all’azione del commesso viaggiatore che porta alla vittima sacra, la moglie uccisa (e ci sarebbe pure il cagnolino della vicina). Pace ovviamente fasulla e provvisoria come ogni pace data da questo mondo. E infatti l’ironia di Hitchcock fa sì che al termine James Stewart si ritrovi a sposare controvoglia Grace Kelly ricreando la coppia coniugale che non potrà non essere origine della nuova quanto eterna e ripetuta azione sacrificale.
L’analogia quindi è forte: la home (la casa) di facebook è fatta di tante finestre affacciate su un cortile, una deliziosa commedia dove forze e sprechi, conflitti e concordanze convivono. Il cortile di facebook è distruttivo quanto pacificante, almeno in apparenza: è un mondo che condivide, si divide, espelle e si riaggrega. E’ una linea che sembra salire, e invece sta sempre ferma nella parte alta dello schermo mentre scatta in un illusorio avanzamento verso l’alto. Parole rimasticate, continuamente. Materiale offerto, consumato, espulso. E’ sicuramente uno dei massimi risultati della concezione moderna, e cartesiana, del mondo: tutto è perché è rappresentazione. La vittima, in questo caso, è la parola, è l’immagine, la memoria, continuamente offerte, sacrificate ed espulse, buttate giù lungo la scalinata di quel tempio piramidale che è il “template”, sempre più giù nella parte bassa dello schermo. Il tutto sotto l’occhio vigile e immobile del brahmano.
Credo ci sia solo una possibilità che sfugge e si oppone a questa potente chiusura del mondo nella propria rappresentazione: non ridurre il sacrificio a distruzione, come invece pretenderebbe Calasso. Esiste infatti un sacrificio che non è distruzione, ma creazione e resto irriducibile. Ed è quanto conosciamo come logiké latreia. Qui la parola rimane ancorata al corpo e alla storia, non si fabbrica da sé (dal Sé) la pace. E’ questo un percorso da approfondire perché è quello può imboccare quella strada in alto a sinistra che porta verso Park Avenue, quella che fa sì che il cortile non si chiuda nel proprio continuo e pacifico divorarsi.
Grazie!
All’interessante riflessione mi vien quasi da affiancare il tema dell’occhio sempre aperto di Sauron e della “realtà” di chi indossa l’anello.
Articolo bellissimo, come i precedenti del resto! Grazie anche da parte mia. Sempre inquietante Calasso, ci sarebbe da domandarsi a quale “dio” offra sacrifici…