Il cinema è morto (ma non sepolto)

Quest’anno il Festival di Venezia appare più del solito un mortuorio cadenzato da paraliturgie funerarie. Per l’occasione ho recuperato un vecchio post scritto ormai qualche anno fa. 

Il cinema è morto. Il cinema cinema, intendo. Quello fruito nelle sale cinematografiche. Morto nel senso che non ci va più nessuno. Morto è il botteghino. Eventuali titoli sui giornali di incassi strepitosi nel week end non vanno presi sul serio perché sono risibili rispetto alle cifre di qualche anno fa. Si tratta di un caso di accanimento terapeutico.

Ogni prodotto ha un ciclo di vita. Per capire quello del cinema risultano utili gli strumenti tradizionali del marketing, ma in questo caso la disciplina più illuminante risulta la fisiologia.

Partiamo dal fatto che l’esercente è sempre stato tentato dal fregare le case di distribuzione che gli passano i film. Il meccanismo è semplice, i contratti funzionano a percentuale sull’incasso: 53-45-40-30% a scalare ogni settimana. Meno biglietti staccati, meno soldi sganciati al distributore. I modi escogitati per pagare meno sono stati innumerevoli, persino epici: c’era chi recuperava i biglietti tra le file delle poltrone in sala, li stirava col ferro da stiro e li rivendeva; chi tagliava lo stesso biglietto in due parti; chi staccava più biglietti durante le scolastiche per venderli poi a prezzo pieno; chi organizzava proiezioni nei cortili; chi si stampava biglietti siae in cantina. Penserai che è roba dei tempi amarcord e che adesso con le multisale non lo possono più fare. No, c’è chi dice sia ancora più facile: con le casse automatiche basterebbe caricare i biglietti sui bordereaux dei film noleggiati alle percentuali più basse.

Bastava non strafogarsi e il sistema funzionava sempre. Ci si faceva i soldi e ci si poteva permettere qualche vezzo: quello che andava più forte e riempiva d’orgoglio era metter su un salone da estetista all’amante. Per anni il cinema è stata una macchina da soldi incredibile. L’esercente si alzava al mattino tardi, alzava le tapparelle e se c’era un bel sole senza nuvole esclamava: “che giornata di merda!”. Perché una e una sola era la variabile del mestiere: quando piove arriva più gente.

Adesso i multiplex di 12-18-24 schermi sono vuoti. L’occupancy per poltrona è ridicolo. Ci sono poltrone che non hanno mai fatto sedere uno spettatore. Eppure continuano a costruire. Basta vedere cosa sta accadendo in Lombardia (ma lo stesso vale per Roma): Bicocca, Sesto San Giovanni, Muggiò, Paderno-Dugnano, Treviglio e molti altri ancora. Tutti buchi nell’acqua. Nessuno ci crede nel cinema in sala. Le major cercano solo di sbarazzarsi delle strutture costruite. Nessuno ci crede veramente. La formazione del personale è per lo più sbrigativa: proiettare film o salare patatine da McDonald fa lo stesso, così le proiezioni sono spesso fuori fuoco, i rulli sono montati male, ecc. ecc. Eppure continuano a costruire multiplex destinati a fallire in quattro e quattr’otto. Non si spiega, se non come operazione immobiliare, se non per far credere che coi multiplex passa tanta bella gente nei negozi annessi, sempre più difficili da affittare. La prova del nove? Quante volte andando al cinema hai affrettato il passo negli ultimi 50 metri, hai guardato il tabellone per vedere quanti posti liberi rimanevano, hai chiesto conferma alla cassiera se effettivamente c’erano ancora posti liberi, sei entrato nella sala e ti sei visto il film praticamente da solo? Insomma, una volta quando la gente andava al cinema l’esercente cinematografico cercava di staccare meno biglietti possibile. Adesso che al cinema non ci va più nessuno, staccherebbero biglietti su biglietti pure per i film che nessuno vede.

Il cinema è morto. I migliori sceneggiatori lavorano per le serie tv vendute ai canali a pagamento. Morto è il cinema con tutto il suo botteghino. E non poteva non essere così. Il tanto decantato valore aggiunto di cui godrebbe la visione in sala cinematografica è in realtà debole, debolissimo. D’accordo, è bello andare al cinema, tornare dal cinema, parlare di cinema. Perché solitamente lo si fa con amici. Ma la visione in sé non ci guadagna dallo svolgersi in una sala con altre 300 persone. Anche se c’è lo schermo grande e il sonoro dolby superavvolgente che ti fa tremare la poltrona. Dopotutto la qualità della visione fatta in casa può essere equivalente, se non superiore. Anzi, non hai l’inconveniente di essere disturbato da quello che tossisce, quello che parla, quello che si alza, quello che ride per niente, quello che apre la porta del bagno illuminato di viola. Per non parlare poi dei guardoni che nell’oscurità ti ansimano dietro. La visione in sala non c’entra nulla con il cinema. E’ solo un retaggio circense, è solo economia di scala: l’esercente cerca di stipare per guadagnare. Del resto, basta osservare come si comporta: quando ti accoglie sorride e squaderna moquette, specchi e lustrini ma, quando hai finito e consumato, ti digerisce espellendoti dal retro, tra cunicoli, griglie e parcheggi male illuminati.

Il cinema in sé è altro. Non ha bisogno della sala. Anzi, nella sua natura più intima tende ad annullare la presenza degli altri: la visione centrale e il buio in sala cercano di eliminare il pubblico. Il cinema non ha nulla a che fare col teatro elisabettiano, quello curvo, dove il pubblico deve vedere e sentire il pubblico, dove ognuno vede l’altro, dove di fronte alla storia, al dramma e alla sua soluzione è prevista la partecipazione di ognuno alla reazione dell’altro. Il cinema non si pone il problema dell’educazione, non gliene importa nulla di far riflettere su come le idee muovono le idee. Lo ha mostrato bene Sergio Leone: il cinema è oppiaceo. Al cinema interessa affascinare, incantare, ammaliare. E per fare questo ti chiama per nome. Il pubblico può solo disturbare il rapporto intimo e personale con il film. Film che nel suo procedere (soggetto enunciatore) ha inscritto la modalità (soggetto enunciatario) di accogliere e rapire lo spettatore. Visione, fascino, incanto, rapimento. Ogni film si rivolge allo spettatore, non al pubblico. Ogni film è una cerimonia dove il cerimoniere ti chiama per nome.

2 Comments

  1. Caro Ciro complimenti per la descrizione delle sale cinematografiche, sembri un frequentatore del Marconi (sala cinematografica di via Cuba), alla fine si esce da un cunicolo in mezzo ad un cortile abbandonato con vecchie automobili parcheggiate, andare per constatare.

  2. Caro Cesare, i complimenti – meritati – vanno fatti al bravo Luigi Codemo, autore del testo in questione e creatore di questo blog.

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