Il titolo non è uno svarione. L’attenzione questa volta non è indirizzata al libro di Ratzinger “Introduzione allo spirito della liturgia”, ma a quei brevi testi di Giulio Bevilacqua che fanno da prefazione a “Lo Spirito della Liturgia” di Romano Guardini, nell’edizione italiana edita da Morcelliana.
Ancora oggi Morcelliana pubblica la prefazione del 1961. Scritta da Bevilacqua dopo quarant’anni dall’uscita del libro di Guardini in Germania, ha un respiro ampio e descrive il contesto degli inizi del XX secolo:
“Così in ambiente turbato e polemico – tra archeologi immobilismi e innovatori ignari del punto di arrivo delle loro riforme – tra giocolieri e dilettanti del divino e spiriti sprezzanti e diffidenti d’ogni gesto esteriore – tra individualisti che guardano al divino solo per mezzificarlo al servizio del proprio egoismo, e gregaristi solo assertori di un’assemblea ove ogni slancio a Dio è eliminato, tra materialisti del rito e spiritualisti che non scoprono che impurità in ogni incarnazione – in tale ambiente problematico e arroventato appare quest’opera di Guardini. Ora dopo quarant’anni se ne può misurare la profondità e l’equilibrio, la preveggenza nel segnalare gli scogli del movimento liturgico, la sua capacità di centrare i problemi e di formulare nel linguaggio, e nelle inquadrature del nostro tempo”.
Un contesto non facile. Da tempo si sovrapponeva alla liturgia una germinazione spontanea di devozioni, di spiritualità, di paraliturgie: “il devozionismo cresciuto fuori della grande tradizione orientale e occidentale creava un cristianesimo facile per il quale tutto diventava centro al di fuori del solo centro quod positum est”. Anche di qui le importanti riforme attuate da Pio XII, che a loro volta si intersecavano con i problemi del tutto nuovi che nascevano con le missioni in tempo di decolonizzazione per cui “il mondo missionario chiede una grande opera di adattamento che afferri non la superficie ma le profondità dell’anima dei vari popoli. Per questo la liturgia è in cerca di vie di comunicazione tra Cristo e tutto ciò che vi è di autenticamente umano anche fuori della civiltà occidentale”.
Questa prefazione, quindi, è illuminante per capire, siamo nel luglio del 1961, quanto “Lo spirito della liturgia” di Guardini fosse presentato come uno di quei testi preambula del Concilio Vaticano II.
Ma non meno interessante è leggere la prefazione scritta sempre da Bevilacqua per la prima edizione italiana pubblicata nel 1930. Perché pone l’accento su tutt’altro aspetto, probabilmente più contingente ma che nel magma di quegli anni appariva come l’urgenza a cui rispondere: il protestantesimo.
Viene quindi da chiedersi: cosa rappresentava il protestantesimo in quegli anni?
Ci torneremo sopra col prossimo post. Per ora metto qui per esteso il testo di padre Giulio Bevilacqua che fece da prefazione alla prima edizione italiana (1930) de “Lo spirito della liturgia” di Guardini.
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L’Opera della Preservazione della fede presenta ai lettori questo studio profondo e vivente su lo spirito della liturgia cattolica.
La sua utilità, agli scopi dell’ Opera, appare evidente quando si rifletta che i tre quarti degli attacchi protestanti – in Italia o tra italiani sperduti in terra straniera – partono da una critica paziente ed implacabile del culto cattolico. Per questo non esitiamo ad affermare che il contributo più generoso alla propaganda ereticale è dato da l’ignoranza dei fedeli sopra la natura, lo spirito e l’oggetto del culto e dagli abusi penetrati nel tempio cattolico.
Quando in un nostro edificio sacro il Cristo ha cessato di essere – di fatto ed in forma evidente – il centro di adorazione e di irradiazione, quando le leggi liturgiche e le disposizioni sapienti del diritto canonico vi sono abitualmente calpestate, quando il ciclo annuale delle grandi date commemoratrici della vita del Salvatore sono trascurate e posposte a l’ultimo capriccio individuale o collettivo, quando il culto, la predicazione, la vita domenicale ordinaria sono soffocati e trascurati sotto il peso di fastose esteriorità senza anima – allora la porta è spalancata al protestantesimo. Esso vi entrerà con gioia perché vi trova una posizione più facile, la possibilità di rilevare deformazioni impressionanti sopratutto le anime provviste di coltura, un terreno ben preparato alla sua critica gelida che non si preoccupa di costruire ma solo di demolire, che mira a sostituire chiese sempre sbarrate ai rifugi sempre aperti del cattolicismo, altari senza luce ai mille riflessi luminosi e viventi che ci provengono non tanto dalla fiamma di cera ma dagli occhi pieni di dolore dei nostri crocifissi e dalle pupille trepidanti di amore delle nostre Madonne.
L’ignoranza e la deformazione del culto rendono vulnerabile il dogma del quale il culto è magnifica espressione.
«Che avverrà della nostra anima scrive un contemporaneo – se essa non avrà presente continuamente le realtà della nostra salvezza? Se le parole sacre che pronuncia non rappresentano più, per essa, che un suono? Se, mentre fa i gesti e i segni sacri, essa non percepisce più la realtà in essi latente? Quanto pesano oggi, nel nostro pensiero le parole: Dio, Cristo, la Grazia? Con quale spirito pieghiamo le ginocchia o facciamo il segno della croce? V i è qui, per noi, la rivelazione di una realtà soprannaturale o il semplice profilo di un’ombra? Una via aperta al regno celeste o l’uso di una semplice forma? Temo che il secondo caso sia più frequente nel nostro mondo moderno. Non è già che noi respingiamo queste verità, ma noi non portiamo più in noi la coscienza vivente della Loro realtà. La nostra fede ha perduto il potere di afferrare, di stringere, di vedere».
Ma se l’ignoranza e l’abuso del culto offrono al protestantesimo il terreno più propizio per seminare diffidenze e antipatie generatrici di vere e proprie avversioni contro la Chiesa, il culto autentico e compreso ci offre ogni possibilità di costruzione e di difesa contro l’opera disgregatrice che sta compiendo il protestantesimo nei paesi latini.
La preghiera ufficiale della Chiesa è il capolavoro della pietà cattolica; basta conoscerla per vedere in essa il tipo perfetto della vita spirituale più alta costruita sopra la pienezza del Cristo. Il gesto, la parola, il simbolo sono strumenti magistrali ed in,fallibili per esprimere e per rinnovare nelle anime l’opera salvifica del Cristo. A questo scopo tutto si piega, tutto si plasma: verità, bontà, bellezza, per dare a Cristo quel dominio che gli appartiene per diritta di creazione e per diritto non meno reale di riscatto.
Siamo tanto sicuri di ciò che noi possiamo dire ai fratelli separati: dal nostro culto giudicate la nostra fede e il nostra amore al Cristo; dalla nostra lex orandi giudicate la nostra lex credendi.
La liturgia è un sicurissimo baluardo di difesa contro la propaganda protestante. Non dimentichiamo che il protestantesimo non è punto difesa dell’individualità religiosa ma estremo ed esasperato individualismo religioso che non sente che l’io, che è incapace di uscire da questo ergastolo per paura di tutto ciò che supera e che limita l’io soggettivo. La liturgia abitua a mettere, nei rapporti più sacri, l’io sotto il noi, le membra sotto il Capo invisibile e sotto il Capo visibile; la liturgia ci abitua a vedere nell’io staccato dalla società gerarchica quale la volle il Cristo, la sterilità, nell’ io, unito a tutta la Chiesa, la ricca fecondità della vita divina. E tutto ciò è meno insegnato che vissuto, inserito e sottinteso nella parola, nel gesto, nel simbolo, nella preghiera liturgica.
Ma anche su questo terreno il protestantesimo può cercare la sua rivincita. L’unità rigorosa del rito non sarebbe arrivata a sopprimere ogni moto libero dell’anima verso Dio? Le pareti opprimenti della cattedrale cattolica sarebbero gelose di ogni anima la quale – secondo il precetto del Maestro – si chiude, nella sua cameretta, serra l’uscio e parla al Padre che sta nei cieli senza riti oppressivi e senza gerarchie invadenti?
Il libro del Guardini ha scorto il terreno sul quale il protestantesimo può trovare, preziosissime alleate, forze e aspirazioni latenti in ogni anima; così, puro riconoscendo alla pietà liturgica il suo primato, pure affermando che ogni forma di pietà dovrà fissare in essa il suo sguardo, come a larga norma per attingerne la vitalità piena e per premunirsi da tutte le deviazioni dell’ individualismo, pure afferma (contro esagerazioni nocive, archeoloogismi, pretese ad immobilità che ledano la legge della vita) il diritto sacro che possiedono le anime di salire a Dio anche per altre vie; non si tratta dunque di estendere la pietà liturgica o la pietà individuale, ma si tratta di stabilire fra esse quella squisita collaborazione che il Vangelo richiede: «nova et vetera».
Non dubitiamo che il secondo volume della nostra collezione avrà il successo del primo del quale, in tre mesi, sta per esaurirsi l’edizione in periodo di crisi libraria.
Questa sete dei lettori cattolici per una letteratura religiosa più profonda è un segno promettente per la nostra battaglia; segno che ci permette di credere che il protestantesimo troverà, nell’ anima italiana, resistenza non sospetta dai finanziatori d’oltre oceano e dai fuorusciti dalla Madre Chiesa: le due sole forze del protestantesimo italiano.
Parasceve del 1930.
P. Giulio Bevilacqua