Stiamo avvicinando essere e pensiero.
C’è una convenientia tra essere e pensiero. L’atto di pensiero è, già sempre e ancora, atto d’essere. Non solo. Ciò che è, in quanto è, è intellegibile (affermazione non tanto dimostrabile, in quanto non c’è qualcosa sopra questa relazione, ma valida in modo ancora più forte e irriducibile, per via elenctica: affermare un essere inintellegibile implica comunque una certa intellegibilità).
Questa convenientia non comporta che il pensiero abbia già esaurito l’intellegibilità dell’essere. L’essere non è una nozione, un’essenza universale, un velo indeterminato che copre tutto, ma atto d’essere, principio fondativo della singolarità di ciò che è e insieme principio di comunione tra gli enti. Identità e differenza, o detto in modo meno statico, il differire del medesimo. L’essere è analogo. E da questo deriva la nostra capacità di comprensione, anche potente, ma sempre in difetto rispetto alla pienezza d’essere.
E’ intellegibile il Crocifisso, nudo e alzato sopra le teste perché tutti lo vedano bene. E’ intellegibile il corpo di cui rimane solo il peso da staccare dalla trave. E’ persino misurabile in kili. La stessa verità di Dio è lì esposta, offerta. Pane al pane, vino al vino, carne e sangue, non c’è nascondimento dove tutto è offerto. E, allo stesso tempo, in ciò che è prossimo rimane sempre un’eccedenza. C’è dono sempre nuovo in ciò che è offerto. Come nel dialogo d’amore, come nella promessa che rimane indeducibile quanto fedele.