Stiamo avvicinando essere e pensiero.
C’è una convenientia tra essere e pensiero. L’atto di pensiero è, già sempre e ancora, atto d’essere. Non solo. Ciò che è, in quanto è, è intellegibile (affermazione non tanto dimostrabile, in quanto non c’è qualcosa sopra questa relazione, ma valida in modo ancora più forte e irriducibile, per via elenctica: affermare un essere inintellegibile implica comunque una certa intellegibilità).
Questa convenientia non comporta che il pensiero abbia già esaurito l’intellegibilità dell’essere. L’essere non è una nozione, un’essenza universale, un velo indeterminato che copre tutto, ma atto d’essere, principio fondativo della singolarità di ciò che è e insieme principio di comunione tra gli enti. Identità e differenza, o detto in modo meno statico, il differire del medesimo. L’essere è analogo. E da questo deriva la nostra capacità di comprensione, anche potente, ma sempre in difetto rispetto alla pienezza d’essere.
E’ intellegibile il Crocifisso, nudo e alzato sopra le teste perché tutti lo vedano bene. E’ intellegibile il corpo di cui rimane solo il peso da staccare dalla trave. E’ persino misurabile in kili. La stessa verità di Dio è lì esposta, offerta. Pane al pane, vino al vino, carne e sangue, non c’è nascondimento dove tutto è offerto. E, allo stesso tempo, in ciò che è prossimo rimane sempre un’eccedenza. C’è dono sempre nuovo in ciò che è offerto. Come nel dialogo d’amore, come nella promessa che rimane indeducibile quanto fedele.
Inserisco a corredo questo articolo del prof. Lenoci pubblicato su Avvenire il 9 aprile scorso. Riguarda Gustavo Bontadini. Nell’articolo emerge bene il problema dello gnoseologismo, argomento su cui ruotano questi primi post sulla via pulchritudinis.
Bontadini, un neoclassico sulle 5 vie
di Michele Lenoci
L’insegnamento di Gustavo Bontadini, che per molti anni ha costituito, insieme con Sofia Vanni Rovighi, punto di riferimento obbligato nella scuola filosofica dell’Università Cattolica, è tuttora significativo, a vent’anni dalla sua scomparsa. Egli è stato uno dei primi iscritti alla Facoltà di Filosofia del neonato Ateneo e qui ha sempre operato, nonostante gli inviti che gli erano giunti da altre sedi, anche prestigiose. In tre direzioni ha orientato le sue ricerche, conseguendo risultati anche oggi importanti per l’indagine metafisica e maturando riflessioni che continuano a sollecitare sviluppi e approfondimenti: il confronto critico e propositivo con l’idealismo gentiliano; una rigorizzazione della metafisica classica, allo scopo di pervenire a una prova dell’esistenza di Dio convincente e fondata; un dialogo con il pensiero contemporaneo, attuato anche attraverso quella sua creatura che fu il « seminario di apologetica » , cui rimase sempre affezionato. Con Gentile, egli, a differenza di molti altri pensatori cattolici, intrattenne un rapporto assai positivo, poiché riteneva che, pur non potendone accettare la prospettiva storicistica e l’indebita assolutizzazione dell’esperienza e del pensiero umani, se ne dovessero tuttavia valorizzare due contributi fondamentali: l’interpretazione della filosofia moderna e la sottolineatura della funzione metodologica dell’unità dell’esperienza. Secondo Bontadini, la parabola che va da Cartesio a Kant e si conclude con Hegel, delinea il percorso dello gnoseologismo, cioè della concezione, comune a molti filosofi per altri aspetti assai diversi, in base alla quale l’essere sarebbe trascendente il pensiero, a esso estraneo o da esso costituito, sicché noi conosceremmo le nostre idee o semplici fenomeni, ma mai la realtà in sé, che, come tale, sarebbe sempre al di là del pensiero. Tale visione si alimenta di un presupposto non giustificato: la presunta esternità dell’essere al pensiero non viene, infatti, dimostrata; inoltre, per il fatto stesso che l’essere viene pensato e ipotizzato ( sia pure nella sua esternità), esso viene pensato, e quindi non risulta affatto al di là del pensiero. Si recupera così l’identità intenzionale, tipica della tradizione classica, alla quale in quegli stessi anni la Vanni Rovighi perveniva attraverso la meditazione delle pagine husserliane. Ne segue che il dato primo e imprescindibile, da cui muovere, è l’esperienza, nella sua immediatezza, che delinea un orizzonte totale e unitario, in quanto non appare condizionata da alcun processo di costituzione e ingloba tutti i possibili contenuti parziali.
Nell’immediata esperienza in atto pensiero ed essere si identificano, l’uno non sporge sull’altro e ogni eventuale eccedenza andrà dimostrata.
L’unità dell’esperienza costituisce il punto di avvio per la riflessione metafisica, che dovrà accertare se la totalità del reale coincida o meno con l’intero dell’esperienza.
L’idealismo risponde positivamente a questa domanda e assolutizza l’esperienza; Bontadini segue, invece, un altro sentiero, ma ritiene che l’attualismo, correttamente interpretato, consenta di formulare rigorosamente quella domanda di cui la metafisica, elaborata e non solo invocata, dovrà costituire la risposta rigorosa e fondata. Percorrendo questa seconda direzione di ricerca, Bontadini si è proposto di rendere più rigorosi i classici argomenti per provare l’esistenza di Dio, come le famose cinque vie di san Tommaso; invece di muovere dalla distinzione tra atto e potenza, egli, rifacendosi a Parmenide e a una formulazione del principio di non contraddizione da lui ispirata, conclude che la realtà diveniente sarebbe contraddittoria, ove fosse assolutizzata, sicché diventa necessario ammettere un Ente indiveniente, cioè immutabile ed eterno, trascendente il mondo empirico.
Successivamente Bontadini, anche in seguito al lungo e appassionato dibattito con il suo allievo Emanuele Severino, apporterà una non irrilevante variazione a quella iniziale proposta, ammettendo che il divenire, come tale, sarebbe contraddittorio. Ne risulta, allora, un procedimento dialettico che, muovendo dal Principio di Parmenide ( l’essere non può non essere) e da un’antitesi attestante l’esperienza reale del divenire ( cioè dell’annullamento degli enti), giunge a porre, nella sintesi, il Principio di Creazione, cioè un Dio trascendente e creatore, che, in quanto indiveniente, toglie la contraddizione e colma il negativo presente nel divenire.
Questo argomento, che Bontadini definirà « neoclassico » e che intende perfezionare i passaggi della metafisica scolastica, è stato oggetto di accesi dibattiti e divergenti valutazioni e sottoposto a molti approfondimenti. Infine, l’incontro con il pensiero contemporaneo si dovrebbe attuare attraverso una « ricomprensione apologetica » , la quale, da un lato, sottolinea le istanze presenti nelle varie correnti filosofiche attuali, compatibili con il discorso metafisico e capaci di approfondirne aspetti particolari, senza contraddirlo.
D’altro lato, confuta la pretesa escludente, che porta quei movimenti ad assolutizzare l’esperienza ( o suoi particolari aspetti) e, quindi, ad escludere la possibilità della metafisica.
Bontadini, pronunciandosi per « l’escludenza delle escludenze » , ribadisce l’apertura al confronto costruttivo, che valorizza gli apporti positivi, ma respinge i divieti: in particolare, dichiarando necessario affermare la trascendenza e ammettere un Dio creatore, argomenta che quei divieti sono frutto di prevenzione e non sono giustificati. Il suo discorso, che vuole essere breve perché essenziale, fa anche comprendere il limite logico e ontologico di molte attuali formulazioni del naturalismo, il quale, sotto mentite spoglie o modalità apparentemente nuove, ripropone schemi antichi e ricorrenti, di cui una dialettica efficace ha messo in evidenza le difficoltà e i pregiudizi.
Grazie per aver riproposto questa pagina.
Di Bontadini, purtroppo, vuoi per la querelle con Severino, vuoi perchè non troppo neothomistically correct, in Cattolica se ne parlava con reticenza. Quelli della mia generazione che pur ne intuivano la portata metafisica, e da quella erano attratti (non moltissimi invero), se lo dovevano studiare di propria iniziativa, trovandovi, e questo va detto, un pensatore di rango, dalla logica spregiudicata, con talento speculativo raro a vedersi.
Anche la querelle con Severino ospitata sulle pagine della Rivista di Neoscolastica mi pare tra il 69 e il 71 era una di quelle contese da far ricordare le quaestiones disputatae tommasiane.
Il teorema della creazione bontadiano, pensato come rimedio alla contraddizione del divenire pur attestato dall’esperienza, era ed è un percorso che meriterebbe ulteriori approfondimenti.
Purtroppo l’incipit univocista premesso da Bontadini, quello secondo cui, more parmenideo appunto l’essere è, ne pregiudicò l’accettabilità logica. Io, pur condividendo la critica ad una predicazione dell’essere univoca (non è l’essere che è, ma l’ente, così come non è il correre che corre, ma il corridore), ritengo però che anche in una predicazione di tipo analogica, e quindi più vicina all’impianto aristotelico tomista, il teorema della creazione abbia un valore teoretico tutt’altro che trascurabile.
Un caro saluto
Giampaolo
Sottoscrivo tutto.
In effetti Severino può rappresentare la deriva di un essenzialismo, di quel “l’essere è”. Per il resto Saggio di una metafisica dell’esperienza è un libro straordinario per rigore logico. L'”unità dell’esperienza” fa emergere il vizio di tutto lo gnoseologismo moderno. Tu ricordi bene il Teorema di creazione. Anche le sue pagine “Deduzione storica” sono illuminanti, valgono più di tutti i manuali di storia della filosofia. E poi da avere sempre a portata di mano le pagine, godibilissime, dedicate ai deellenizzatori.