Pensate se un artista potesse creare qualcosa di totalmente falso. Qualcosa che riposa stabilmente sulla propria falsità. Quale potenza non dimostrerebbe un simile artista! Simile a un dio al di là dell’essere.
Ma questo non è dato: falso e totale non stanno assieme, e neppure falso e stabile. Tutti gli artisti, per quanto insignificanti, restituiscono un minimo residuo di vero. Non c’è da scandalizzarsi. Non ammetterlo implicherebbe che qualcosa è fuori dall’essere. E invece, fosse anche la verità di una domanda mal posta, qualcosa lì c’è sempre: un ferro storto ci parla del diritto; la miseria invoca la pienezza della misericordia. Quel qualcosa, fosse anche solo un aliquid qualsiasi, chiama altro, chiede senso. Che da sé non si dà. E ciò che chiede senso è già vero. Residuo ineludibile. Un qualsiasi aliquid è più potente di tutta la falsità, proprio perché non permette alla falsità di essere tutta.
Questo residuo di vero deve essere difeso. Nonostante i piccoli demiurghi che pretendono di renderlo nullo e si chiamano fuori, pasticciano fetecchie e propinano cose insulse. Quel residuo è condizione di possibilità della parola, della ragione, dell’incontro e, in ultima analisi, della conversione. Senza avremmo solo salti nel buio. Non avremmo l’esperienza cristiana.
Il qualcosa, il vero, il bene, il bello, la speranza trovano il proprio bastione nel primato dell’essere sul non essere.
Sarebbe uno straordinario presupposto per una “storia dell’arte” – che non credo sia mai stata scritta – che si ponesse l’obiettivo di diventare qualcosa di simile a quello che “Mimesis” di Auerbach è per la letteratura.
‘Tendenziosamente’, visti i miei interessi, comincerei con l’avvicinarmi a quel vero a partire dal tempio del Signore, cioè dalla nostra natura corporea, luogo dell’interazione tra realtà fisiche e metafisiche…
Mi correggo: “a partire da ciò che dovrebbe essere (e che talvolta è) il tempio del Signore, cioè dalla nostra natura corporea”.
Trovandomi a disagio nei libri di storia dell’arte, e data anche la limitatezza della mia libreria, Auerbach può fornire una bel (quanto difficilmente eguagliabile) esempio. Anche lui partì dal corpo, dalla bocca di Pantagruele!
per quanto la tua scrittura sia rigorosa e sintetica, queste tue righe mi hanno toccato
Grazie… (anche perché qualcuno mi diceva che questi due ultimi post sono poco comprensibili).
@ “da” (un po’ OT)
“Lo smarrimento del sacro -questa rifiuto di coltivarlo, sottraendolo alla sua propria ritrosia, alla sua intermittenza- si equivale nella perdita della profanità delle cose temporali, che così si vengono a trovare nella terra di mezzo del feticcio. Più di una volta si coglie nei commenti una aspra polemica con il Concilio Vaticano II, che vorrei con voi approfondire” (Commento di “da” — 29.11.09 in http://valterbinaghi.wordpress.com/2009/11/07/piccoli-passi-5-ritualismo-e-antiritualismo-di-mary-douglas/#comments).
A parte che non ho nulla contro il Vaticano II, l’invito è graditissimo.