Pensate se un artista potesse creare qualcosa di totalmente falso. Qualcosa che riposa stabilmente sulla propria falsità. Quale potenza non dimostrerebbe un simile artista! Simile a un dio al di là dell’essere.
Ma questo non è dato: falso e totale non stanno assieme, e neppure falso e stabile. Tutti gli artisti, per quanto insignificanti, restituiscono un minimo residuo di vero. Non c’è da scandalizzarsi. Non ammetterlo implicherebbe che qualcosa è fuori dall’essere. E invece, fosse anche la verità di una domanda mal posta, qualcosa lì c’è sempre: un ferro storto ci parla del diritto; la miseria invoca la pienezza della misericordia. Quel qualcosa, fosse anche solo un aliquid qualsiasi, chiama altro, chiede senso. Che da sé non si dà. E ciò che chiede senso è già vero. Residuo ineludibile. Un qualsiasi aliquid è più potente di tutta la falsità, proprio perché non permette alla falsità di essere tutta.
Questo residuo di vero deve essere difeso. Nonostante i piccoli demiurghi che pretendono di renderlo nullo e si chiamano fuori, pasticciano fetecchie e propinano cose insulse. Quel residuo è condizione di possibilità della parola, della ragione, dell’incontro e, in ultima analisi, della conversione. Senza avremmo solo salti nel buio. Non avremmo l’esperienza cristiana.
Il qualcosa, il vero, il bene, il bello, la speranza trovano il proprio bastione nel primato dell’essere sul non essere.