Il serpente dunque non crea. Pensiamo a quanto è descritto nella Genesi. Il serpente si inserisce nella creazione stravolgendone il senso. In modo parassitario instilla il sospetto verso l’Origine della creazione: nel dono insinua il possesso; nel mistero consegnato ai giorni della vita fa balenare un sapere sottratto. Quanto si mostra infinito nella confidenza di un passeggiare nel giardino il serpente lo copre con la maschera di un’ermeneutica illimitata.
Il brano della Genesi ricapitola i rischi a cui è esposta la relazione con l’Origine, con l’Oltre, con Dio.
Il primo rischio è quello di rapportarsi con l’Origine come se fosse una potenza che schiaccia il cielo sull’uomo. L’Oltre è alterità antagonista, il tremendum che annienta. E’, per farla breve, quanto annuncia il serpente di libri della casa editrice Adelphi.
Il secondo rischio è quello di esorcizzare il tremendum dell’Oltre con il niente del proprio oltre. E qui abbiamo tutte le velleità tecno-esistenzialistiche profuse in modo particolare con l’età moderna. Ovvio notare che questa seconda modalità non è che un sussulto mal riposto, una variazione temporanea della prima: i mostri si svegliano di notte.
Se la prima opzione trova immagine nell’informe, la seconda si diletta dell’iperrealismo, fotografico o concettuale.
Ecco allora arte e religione accomunate da un rapportarsi al sacro, detto genericamente anche l’oltre, l’altro, il separato. Il sacro può affacciarsi come arbitrio, come mondo oppiaceo e orgiastico, come distruzione, come violenza, come negazione dell’umano. Oppure, religione e arte possono restituire al sacro l’evidenza sensibile di un’Origine che si rapporta all’umano attraverso la consegna di una alleanza. Un’Origine che non divora la storia ma le dà tempo, un tempo di redenzione dove gli uomini possono portare a compimento la propria esistenza.
Nell’annuncio cristiano tale compimento prende una forma precisa e unica e avviene nella conformazione dell’uomo alla forma cristologica.