La liturgia spiegata a un amico

Liturgia è celebrare. Non è quindi solo un vedere, un assistere, un adempiere. Celebrare ha a che fare con la festa. L’immagine più propria è quella delle nozze, dove le parole, nel mentre le si pronuncia, si fanno carico di quanto dicono, si fanno vincolo, attesa, promessa, riconoscenza, gioia.

Celebrare è l’unione della parola con ciò che dice. C’è una parola che lo esprime bene, ed è l’Amen: l’adesione piena, il dire che è allo stesso tempo già essere.

La liturgia celebra la salvezza della storia. Dio dal principio si è legato al destino dell’uomo e della donna. Anche quando questi hanno rinnegato quel legame, il legame non è venuto meno; Dio non si è nascosto, non li ha abbandonati, ma ha continuato ad accompagnarli nella storia. Ha parlato loro sul cuore. Ha consegnato loro il proprio amore viscerale, fino a consegnare se stesso alla storia, all’umanità della carne, all’umanità della morte (Gv 3,16). Sulla croce le parole di cura di Dio hanno compiuto il proprio Amen, si sono fatte carico fino in fondo del loro significato di amore per l’umanità.

Quando Marshall McLuhan disse che il medium è il messaggio pensava al Verbo che si è fatto carne. Pensava all’Amen del Logos sulla croce.

Ed ecco lo scandalo e la follia: la pietra scartata è diventata testata d’angolo, ovvero il sacrificio non è distruzione, ma creazione, donazione, è nuova vita. Cristo infatti è il Vivente: io sono l’alfa e l’omega, dice il Signore Dio, colui che è, che era, che viene (Ap 1,8).

Questo è importante: non dice che verrà, ma che viene. Noi siamo nell’adventus Dei. Nella liturgia, la sposa è la Chiesa che dice il proprio sì, il proprio Amen a questa venuta che sta già avvenendo. E’ un andare incontro allo sposo che implica spostamento, conversione, oblazione.
L’offertorio è proprio questa processione, questo cammino del popolo di Dio che porta pane e vino, frutti del creato e del lavoro, e la propria stessa vita a essere ricreati.
La salvezza della storia passa attraverso il farsi corpo e sangue di Cristo.

La chiesa di pietra riflette le pietre vive. L’aula è il cammino del popolo di Dio lungo la storia. L’abside è l’adventus Dei. L’ambone è la parola che si consegna e l’altare è Cristo che si consegna. La cupola è il cielo che si apre nell’incontro di Dio con il suo popolo.

Ecco perché le chiese sono dipinte, con la creazione, con le storie dell’Antico Testamento, con i profeti, con gli episodi del Vangelo, con il giudizio finale; ecco perché la massima cura del disegno o dello scalpello è riservata anche alle figure altissime che l’occhio neanche distingue: nella liturgia tutta la storia, anche quella minuta, è chiamata a raccolta, tutta la storia partecipa della salvezza lì celebrata.

10 Comments

  1. E voilà, una folata di Vento (che va dove vuole) e tra le nere nubi si apre uno squarcio d’azzurro…che festa, quando il cuore intravede la sua Patria celeste! Questo miracolo mattutino è sgorgato dalle tue parole, caro Luigi, parole, pietre, colori, scaplelli, mani, le fatiche degli uomini, memorie, emozioni…tutto salvato, tutto tenuto a mente…man-tenuto…la fede, forse, non è che uno sforzo di memoria. Grazie e scusa l’enfasi e poi…quando si dice il Vero, è il Vero che parla…mica tu (così non corri il rischio di pavoneggiarti).

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