Prendiamo, ad esempio, il Cristo Giallo di Paul Gauguin.
Il Crocifisso è rappresentato con una sua forza, una forza ancestrale. Un palo verticale fisso nella campagna, un asse orizzontale, un giusto suppliziato, alcune donne che pregano. Tutti i colori sono in relazione a questo centro. Gauguin, riconosce la potenza di questa scena, e sceglie di prenderne le distanze, si allontana. Mette di mezzo quelle donne. Sono queste donne bretoni che si inginocchiano, che pregano, che riflettono quella forza ancestrale in una ritualità. Il pittore può starsene più indietro, osservare la scena con occhio da antropologo e restituire il suo protocollo su tela, come se quel giallo non lo riguardasse. Chi si avvicina al quadro di Gauguin non prega, ma vede una scena che rappresenta la preghiera.
Prendiamo ora un altro esempio, le 14 opere dal titolo Via Crucis di Frank Stella.
Qui l’artista non ha rappresentato nulla, ma per via di astrazione toglie ogni mediazione fino a rimanere con quanto non è più ulteriormente sottraibile (perlomeno secondo l’artista). Questo tipo di astrazione vuole giungere a presentare il concreto. Immagini, metafore, ironia, qualunque cosa ti dica “più in là” è bandita. E’ una via che porta ad avvicinare il naso. Anche se tenuta a distanza, l’opera risulta talmente vicina che nulla è più distinguibile. C’è solo quello che si vede. E’, per fare un parallelo, come se l’apostolo Tommaso si fosse avvicinato per vedere e toccare la ferita del costato, ma senza poi poter rialzare la schiena, cercare gli occhi e riconoscere il maestro. Frank Stella pretende una mistica di sola andata.
Questi qui sopra sono due esempi, uno di eccessiva lontananza, l’altro di eccessiva vicinanza. Non è detto che lontananza e vicinanza siano sbagliate. Sbagliato è fissarle come criteri unici.
Faccio un esempio letterario che ritorna nella via crucis. Nel salmo 22, c’è un continuo muoversi tra l’esperienza della vicinanza di colui che si vede stretto dai nemici con quel “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, e l’esperienza della distanza che invece permette una visione ampia, capace di annunciare “alle generazioni che verranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: ecco l’opera del Signore”. Qui l’occhio è allenato a creare lo spazio dentro al quale si muovono morte e silenzio, ma anche speranza e affidamento. E’ lo spazio che riesce a render conto della storia e della vita, dei corpi e dei volti.
Ecco, per iniziare, l’arte deve allenare ad attraversare questo spazio. Deve rendere grande e resistente l’anima di colui che la guarda. Deve allenarlo ad essere magnificato.