La schiuma dell’onda che sbatte sulla spiaggia si dissolve in pochi istanti. Poi monotona, si riforma. Di notte e di giorno. Effimera, quanto perenne. Un nulla che però dura più dell’uomo mortale, anche del più grande tra gli uomini. E’ facile vedere nel frangersi dell’onda il nascere e il rinascere di una qualche dea capace di immortalità.
Una rupe è lì, davanti, e stava lì quando ancora c’era mio padre, e il padre di mio padre. La rupe è meno mortale di me: è facile scorgere tra quelle pietre una figura divina.
Non occorrono il sole, l’oceano, la montagna più alta per innalzare un olimpo di divinità. Bastano le scintille dei falò, l’odore dell’erba, il rumore di una cascata, un sentiero che scollina, lo spifferare di un canneto, il ribollire del mosto. Basta ciò che dura più di un uomo, che va oltre quei giorni mortali. Basta un destino che ripete sordo il proprio destino.
Il pensiero pagano è intriso di immortalità. Non cerca il rigore, è un pensiero a cui basta paragonare: tu duri più di lui, tu uccidi e tu muori, tu sei ancora e tu non sei più. La stabilità dell’uomo effimero, di colui che dura solo un giorno, è la sua ombra, è l’Ade. Il catalogo Adelphi è l’economia di questo pensiero. In effetti, se dovessimo indicare lo stile proprio di questa casa editrice non emergerebbe tanto il dorico arcaico, ma il neoclassico. Lo stile dell’immortalità, lo stile del monumento che dice di essere monumento. La severità che copre l’ineluttabilità funebre.
Il pensiero cristiano non guarda all’immortalità, ma all’eternità. L’immortalità è la noia, lo stabilirsi in uno stato, è la necessità che t’inchioda a un destino. L’eternità cristiana, invece, è l’essere coinvolti nella dinamica divina, ovvero nella eterna creatività di Dio. Il cristianesimo non ha uno stile proprio, proprio per non cristallizzare il soffio vitale che genera la molteplicità delle forme. Per non bloccare nessuno in un destino simile a una roccia o alla schiuma di un’onda.
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