In questo periodo sto preparando dei testi su Maria per alcuni incontri. E sto trascurando il blog. Mi prendo allora una pausa dagli argomenti abituali e rilancio un intervento, di Claude Geffré OP, Il paradosso dell’incarnazione di fronte al pluralismo religioso. In fondo ho aggiunto anche alcune mie domande.
In sintesi, Claude Geffré si chiede cosa comporti “prendere sul serio gli elementi di grazia e di verità (Nostra aetate) presenti nelle altre religioni del mondo. […] Sin dalle origini cristiane, la chiesa confessa Gesù come Cristo. Ciò significa che Gesù ci ha rivelato l’amore universale di Dio per tutti gli uomini e tutte le donne non solamente tramite il suo messaggio, ma per mezzo e nella sua umanità concreta. Questa identificazione di Dio come mistero trascendente a partire dall’umanità di Gesù di Nazaret è il tratto distintivo del Cristianesimo. Secondo l’affermazione assai realista di Paolo: “in Lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col. 2,9).
Gesù si rivela a noi come la figura dell’amore assoluto di Dio. Ma Dio non può manifestarsi agli
uomini che in termini non divini, cioè nell’umanità di un uomo particolare. Noi confessiamo che la
pienezza di Dio abita in Gesù. Ma questa identificazione ci rinvia al mistero stesso di Dio che
sfugge ad ogni identificazione. Secondo la nostra maniera umana di conoscere, l’umanità
particolare di Gesù non può essere la traduzione adeguata delle ricchezze contenute nella pienezza
del mistero di Cristo. È un altro modo di esprimere l’indicazione di Calcedonia: ‘senza confusione
né separazione’.
Così, in coerenza con la visione tradizionale dei Padri della Chiesa è permesso di considerare
l’economia del Verbo incarnato come il sacramento di un’economia più vasta, quella del Verbo
eterno di Dio che coincide con la storia religiosa dell’umanità.
[…]
Gesù non è quindi esclusivo di altre figure storiche che identificano in modo diverso la realtà ultima dell’universo.
[…]
La verità cristiana non è né esclusiva e neppure inclusiva di ogni altra verità di ordine religioso. Essa è singolare e relativa alla parte di verità di cui le altre religioni possono essere portatrici.
[…]
Ciò significa suggerire che i semi di verità e di bontà disseminati nelle altre religioni possono essere
la manifestazione dello Spirito di Cristo sempre all’opera nella storia e nel cuore degli uomini. È
dunque abusivo parlare di valori implicitamente cristiani secondo la semplice logica della
preparazione e del compimento. Preferisco invece parlare di valori cristici. Con ciò intendo germi o
semi di verità, di bontà e anche di santità che hanno un legame nascosto con la cristianità di ogni
essere umano per il fatto stesso che egli è creato non solo ad immagine di Dio, ma ad immagine di
Cristo come nuovo Adamo. E proprio nella loro stessa differenza essi troveranno il loro
compimento nell’ultimo giorno in Gesù Cristo, anche se non trovano la loro esplicitazione nel
Cristianesimo storico”.
Ci sono alcune cose che non capisco (nel senso che sono domande vere, cariche di pregiudizio ma non retoriche).
– “L’umanità particolare di Gesù non può essere la traduzione adeguata delle ricchezze contenute nella pienezza del mistero di Cristo”: io invece pensavo di sì. Che il Figlio fosse il verbum abbreviatum ovvero la rappresentazione del Padre irrappresentabile. Che se lì dimora la pienezza della divinità, lo scarto fosse nostro, e non di Gesù, della nostra conoscenza (scarto che del resto manifesta innanzi a ogni singolarità). E che comunque fosse il segno della nostra grandezza (per come siamo chiamati a sondare e a rispondere a questo mistero d’amore) e della nostra miseria (per come rimaniamo distanti dall’esaurirne la ricchezza di significato).
– Come faccio a riconoscere i semi di verità e bontà nelle altre religioni? Quale criterio veriditativo? Non è necessario riconoscere un proprio sistema di riferimento presupposto? Non è più onesto parlare di verità e bontà in semi ovvero in potenza, che quindi esistono ma ancora in attesa di trovare la causalità adeguata e sufficiente per portarli a compimento e perfezione? E se ci sono semi di bontà e verità irriducibili (così li definisce Geffré) alla rivelazione in base a cosa ne affermiamo la derivazione dallo Spirito? Parlare in questi termini di legami nascosti non rischia introdurre una forma di equivocismo nell’annuncio cristiano?
– Se il cristianesimo è stato cristianità, se ha assunto forma particolare di alcune culture, questo non significa che la fede cristiana sia una cultura. La fede cristiana e l’intelligenza cristiana non si esauriscono nelle diverse culture che si succedono. E se il pericolo è l’autoritarismo che la cristianità ha assunto in certi periodi della storia, perché allontanarne il rischio indebolendo la figura di Cristo?
– Se la pienezza della verità tutta intera non ce l’abbiamo ancora ma è stata annunciata da Gesù, non è il caso proprio per questo di essere fedeli a quel poco che “già” sappiamo e abbiamo capito (che, per quanto poco, consiste almeno in quel poco necessario per scorgere semi di verità e bontà)? Il non ancora non è da attendere? o è da inseguire ponendosi in atteggiamento relativo a tutto quanto sa di nuovo, di religioso, di corretto?
Non posso che condividere le tue riflessioni.
C’è una sorta di pregiudizio inconfessato, che snerva il pensare ecclesiastico, di cui il Geffrè è paladino non da oggi: è un voler andare “oltre” la persona di Cristo, che sconfina nello gnosticismo e realizza un trasbordo ideologico. Questa deriva è stata ben raffigurata da uno psicanalista contemporaneo, Giacomo Contri, di cui cito un passo significativo (http://worldlibrary.net/eBooks/Wordtheque/it/Sanvolt.txt):
«L’operazione generale della gnosi è illustrata da un autore, Gilles Quispel, in un articolo intitolato Jung e la gnosi, con un’acutissima equazione:
“Gnosi meno cristianesimo uguale gnosi”.
Come sa chiunque abbia fatto le scuole primarie:
se x – y = x, allora y = O.
La stessa equazione può essere scritta:
x = x+y.
Ma se y = 0, allora perché diavolo mettercelo?
Risposta: perché senza la nullità, la zerità, la vacuità di y, x non esisterebbe.
Esisto perché ti annullo (ancora il mio Freud, che individua questa logica nell’analisi della melanconia, l’antica “accidia”: l’Altro deve esistere solo perché io, massacrandolo, esista).
C’è soltanto una soluzione: che l’Altro salti fuori dall’equazione, o non sia tanto sciocco da entrarci. Insomma, che esista.
Chissà che anche lo gnostico un giorno non ci ripensi: perché, quanto a lui, pensa, e, benché male, tanto. Non tanto, anzi poco, bensì: troppo».
Seguo questi vostri discorsi(sia del padrone di casa, che dell’amabile ospite che mi ha preceduto) con “febbrile” interesse …quello gnostico è un pensiero diffusissimo…me ne accorgo solo ora che rientrata tra le braccia di Santa Romana Chiesa, noto che tanta parte del pensiero filosofico moderno e contemporaneo ha “coloriture”gnostiche ed è, guarda un pò, anticattolico. Io stessa ero “gnostica” senza sapere di esserlo! E’ importantissimo individuare e ribadire, ed eventualmente rintuzzare coloro che sono affetti da questa “depravazione” tutta e solo intellettuale, i confini e i presupposti “irriducibili” della bella e santa “ortodossia” cattolica.
Mi interessa, tuttavia, conoscere il vostro parere sull’opera di Guénon, qualora ve ne foste mai occupati. Al momento, nutro per questo autore che conosco molto superficialmente degli istintivi “sospetti”…attendo vostre illuminazioni. Saranno, per me, determinanti. Grazie per l’attenzione,
Rosanna
L’argomento è stato trattato in un ponderoso volume da Jean Borella; un piccolo riassunto è in questa recensione:
http://www.cesnur.org/2002/mi_borella.htm
Altri link interessanti sono ad esempio:
http://www.tradizione.biz/forum/viewtopic.php?t=5557
http://www.effedieffe.com/content/view/1981/175/
http://www.alleanzacattolica.org/indici/articoli/introvignem298.htm
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/reneguenon/oltreevgu.htm
Comunque sia, l’argomento rimane alquanto controverso; in genere gli autori cattolici, come si può agevolmente vedere, sono notevolmente critici.
Io non so se in questo caso si sconfina nella gnosi (Luigi, sai che GBContri non l’ho mai capito, dai tempi de Il Sabato…).
Io qui vedo problemi di carattere gnoseologico. E’ vero che noi sappiamo ben poco. Ma se si ammette qualcosa di irriducibile a quel poco che sappiamo significa che ogni cosa può vantare di essere seme di verità e di bontà. Così come parlare di legami nascosti significa ammettere non il mistero, non la ricchezza di significato che la fede è portata ad abbracciare e la religione a organizzare, ma una sorta di noumeno inconoscibile. Diventerebbe plausibile aspettarsi qualunque cosa. L’alto potrebbe rivelarsi il basso, la salvezza dissoluzione, e viceversa.
La prospettiva tradizionale della “preparazione” e del “compimento” sono più fondate nell’umana natura e soprattutto nella realtà delle cose.
> Rosanna: su Guenon si può tranquillamente non sospettare. Gnostico è gnostico. Dei migliori.
Io non so se in questo caso si sconfina nella gnosi (Luigi, sai che GBContri non l’ho mai capito, dai tempi de Il Sabato…).
Io qui vedo problemi di carattere gnoseologico. E’ vero che noi sappiamo ben poco. Ma se si ammette qualcosa di irriducibile a quel poco che sappiamo significa che ogni cosa può vantare di essere seme di verità e di bontà. Così come parlare di legami nascosti significa ammettere non il mistero, non la ricchezza di significato che la fede è portata ad abbracciare e la religione a organizzare, ma una sorta di noumeno inconoscibile. Diventerebbe plausibile aspettarsi qualunque cosa. L’alto potrebbe rivelarsi il basso, la salvezza dissoluzione, e viceversa.
La prospettiva tradizionale della “preparazione” e del “compimento” sono più fondate nell’umana natura e soprattutto nella realtà delle cose.
> Rosanna: su Guenon si può tranquillamente non sospettare. Gnostico è gnostico. Dei migliori.
L’argomento Guénon è stato trattato in un ponderoso volume da Jean Borella; un piccolo riassunto è in questa recensione:
http://www.cesnur.org/2002/mi_borella.htm
Altri link interessanti sono ad esempio:
http://www.tradizione.biz/forum/viewtopic.php?t=5557
http://www.effedieffe.com/content/view/1981/175/
http://www.alleanzacattolica.org/indici/articoli/introvignem298.htm
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/reneguenon/oltreevgu.htm
Comunque sia, il tutto rimane alquanto controverso; in genere gli autori cattolici, come si può agevolmente vedere, sono notevolmente critici.
L’argomento Guénon è stato trattato in un ponderoso volume da Jean Borella; un piccolo riassunto è in questa recensione:
http://www.cesnur.org/2002/mi_borella.htm
Altri link interessanti sono ad esempio:
http://www.tradizione.biz/forum/viewtopic.php?t=5557
http://www.effedieffe.com/content/view/1981/175/
http://www.alleanzacattolica.org/indici/articoli/introvignem298.htm
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/reneguenon/oltreevgu.htm
Comunque sia, il tutto rimane alquanto controverso; in genere gli autori cattolici, come si può agevolmente vedere, sono notevolmente critici.
Grazie per aver supplito alla mia sommarietà con queste indicazioni. Da parte mia riprenderò questi argomenti con l’argomento della “forma” dell’annuncio cristiano.
C’è un piccolo problema interpretativo, credo. L’affermazione centrale è quella -giustamente- già sottolineata, e cioè “l’umanità particolare di Gesù non può essere la traduzione adeguata delle ricchezze contenute nella pienezza del mistero di Cristo”: orbene, mi sembra quanto mai opinabile, giacchè, se “Chi vede me, vede il Padre”, se “Io sono la Via, la Verità e la Vita”, allora è necessario uno sforzo interpretativo notevole.
Così come è forse sbagliato parlare di valori “implicitamente cristiani”, ma, più che cambiare l’aggettivo inventando un brutto quanto altrettanto ambiguo (ai fini del discorso) “cristici”, forse conviene agire sull’avverbio, e ricorrere -sulla scia dei Padri della Chiesa- al concetto di valori “naturaliter cristiani”; ovvero, non “impliciti”, ma scoperti e riconosciuti per via di approccio intellettualmente e sentimentalmente corretto. O no?
Vi espongo dei miei ragionamenti molto “grossolani”, visto che poco so e molto ho da imparare: ho l’impressione che questi sostenitori di “valori cristici” – che fanno capolino anche da blog da me frequentati – abbiano un loro “progettino” (non so fino a che punto consapevole) di liquefare le fondamenta della Chiesa, relativizzando la figura di Gesù Cristo, minimizzando tutta la significatività e il mistero dell’Incarnazione come fatto unico, eccezionale, definitivo.
Come si “relativizza” Gesù Cristo? Affermando, come sembra, che Egli sia una delle svariate “manifestazioni” di un Pricipio, quello cristico, appunto. Il Principio cristico diventa un “altrove” rispetto al Cristo dei vangeli, visto solo come un degno “interprete” di quel Principio. Ed ecco allora che si libera la “caccia” ad altri interpreti dello stesso Principio, di cui, pare sia pieno il mondo: e ognuno si sceglie l’interprete che più gli aggrada. Tutti “cristici” dunque, e nessun “cristiano”. La Chiesa, allora, ce la possiamo tenere come mero strumento organizzativo, ma completamente svuotata della sua “necessità” e privata della sua relazione privilegiata con l’unico vero Dio, nostro Signore Gesù Cristo. Non so voi, ma quì sento puzza dell’ennesima eresia. Anatema!!!!
@ sorannaros.
Dici benissimo.
Paradigmatico, nella sua aberrazione, è questo testo di Franco Barbero:
“In questa prospettiva Gesù non è un semidio o un essere metastorico, una persona con due nature. Egli è esclusivamente uomo “e non ha alcuna maggiorazione che lo faccia diverso da noi. Gesù, perciò non ha rivelato Dio perché nella sua natura umana fosse divino, ma perché era stato reso così umano da diventare traduzione del progetto che Dio ha dell’uomo, era diventato così trasparente alla presenza di Dio da consentirne la piena manifestazione nella carne” (Carlo Molari). Certo, tutto questo ad intra per noi cristiani, senza vantare nessun monopolio dell’epifania, delle testimonianze di Dio in altre vie di salvezza. Chi più di Gesù ci ha insegnato a guardare oltre la sua persona? ”
Geffré è un Barbero solo un po più diplomatico.
Grazie sempre per aver continuato con gli interventi mentre io ero in giro a bere merlot col ceo cascà zo dal sicomoro.
Mi pare che Rosanna e Luigi portino in modo rigoroso i rischi impliciti nel discorso di Geffré.
Inoltre anch’io ravviso una sua diplomazia. E un’ansia di non affermare nulla che possa contrariare l’induista o l’animista o altre forme di religione. Un’ansia che non gli fa vedere non soltanto dove in modo rigoroso va a finire ma non gli fa vedere neppure la contraddittorietà delle sue premesse.
A me pare che il suo discorso sia logicamente infondato fin dalle sue premesse.
Per quanto debole, velato, lontano, fair play sia questo “cristico” in ogni caso per essere tale lo deve essere nella misura in cui è di Cristo. Si può rimandare fin che si vuole il suo riconoscimento, ma alla fine la condizione di possibilità del suo essere o meno “di Cristo” sta in quel poco che abbiamo “già” di Cristo. A meno di affermare non una ricchezza dell’essere ma la sua totale equivocità. Per quanto poco sappiamo, quel poco lo sappiamo. Anche perché non siamo nell’antica Legge dove si trattava di detenere dei comandamenti. Non si tratta di sapere, non si tratta di dottrina. Ma del dono della sua Persona.
Ed è proprio quello che intendevo quando Slowhand cita i naturaliter cristiani. Parlare di impliciti semi di bontà e verità è innanzitutto logicamente più fondato e coerente.