Non ho capito ancora bene che cosa ci facciano gli scritti di Padre Giovanni Pozzi in un catalogo come Adelphi. Per ora, di sicuro, so che era di una straordinaria erudizione.
Quest’estate, leggevo un suo saggio dal titolo Rosa e gigli per Maria. Un’antifona dipinta (tratto da G. Pozzi, Sull’orlo del visibile parlare, Adelphi): “Ripetendo nel 1985 l’usuale appuntamento d’autunno intorno a tavole imbandite di squisitezze naturali in posa, la galleria Lorenzelli di Bergamo convitò nove esperti a degustare la grazia d’una composizione così singolare da non trovare riscontri nel genere.
Su un ripiano di pietra grigia, sporgente a semicerchio in mezzo, posa un vaso nero contenente un mazzo di nove rose rosse. Lo attorniano quattro steli di giglio, due posati sul tavolo e due eretti dietro, con cinque fiori ciascuno. dal retro emergono pure tre steli di rose. con sei, otto, nove fiori, taluni in boccio e taluni aperti. Le interpretazioni del soggetto offerte dagli interpellati convergono sul fatto che il dipinto svolga un tema simbolico…”.
Padre Pozzi passa poi ad analizzare tutte le ipotesi avanzate dai vari studiosi come Zeri, Gombrich, Segal , Marini, Rosci: riferimenti al rosario e alle litanie, argomenti su la belle Charite, paralleli tra Maria giglio – Cristo rosa, e altri ancora. E le smonta una ad una.
La soluzione per lui sta altrove: “Se partendo esclusivamente dal quadro, traduco in parole i dati di quella disposizione negli stessi termini in cui li osservo con l’occhio, mi viene spontanea la frase: gigli e rose attorniano un vaso di rose. L’enunciato, banale nell’aspetto, insignificante al suono, acquista una enorme risonanza per chi, provvisto di qualche famigliarità con testi liturgici, ne ravvisi la perfetta equivalenza con la parte finale del responsorio Vidi speciosam, presente fino dall’antichissimo ordinario nel mattutino dell’assunta: Et sicut dies verni circumdabant eam flores rosarum et lilia convallium“.
Il vaso centrale, dice Pozzi, presenta tre riferimenti precisi a Maria: le rose rosse indicano la porpora regale di cui è vestita la Vergine Assunta (come dice Lorenzo Crisogono: cur virgo velut rosa inter flores regia purpura digna habeatur), il vaso richiama le litanie lauretane, il colore nero richiama il Nigra sum, sed formosa del Cantico dei cantici.
Padre Pozzi segue poi ad argomentare e ad approfondire ulteriormente. Ma c’è un punto dove forse posso aggiungere qualcosa. A fine articolo, il cappuccino annota una nota, un addendum: “Claudie Balavoine, con sguardo acuto di esperta in alfabeti artificiosi (sguardo mentale), mi fa osservare che, se si traccia una linea fra i quattro gigli e il vaso centrale, si ottiene una M. Il mio occhio aderirebbe alla soluzione con consenso più pieno se vedesse gigli o almeno rose bianche nella punta centrale della lettera. La disposizione dei fiori richiama in modo più impellente il circondare dell’antifona, al mio sguardo. Ma l’interpretazione è da segnalare. Quale significato e destinazione nasconderebbe un’intenzione iconica così ovvia nel prodotto (la sigla mariana si trova dappertutto), così eccentrica nei mezzi? Il committente avrebbe semplicemente progettato un santino in grande formato? oppure possiamo riconoscervi l’intenzione di farsi una figura come quelle desiderate dal Mombaer per la salutatio membrorum? Quanto alla natura iconica del messaggio, non si dovrebbe più qualificarlo di rebus e geroglifico, men che meno di emblema o impresa; sarebbe una cifra scritta con rose e gigli di fattura naturalistica invece che coi tratti normali”.
A me pare che l’osservazione della Balavoine sia corretta e possa integrare coerentemente la soluzione di Padre Pozzi. Solo che ha bisogno di una annotazione in più: la sigla mariana in età barocca solitamente non si limitava ad una M, ma comprendeva e spesso si intersecava anche con una A (vedi la foto qui sotto, posta sull’altare di una chiesetta di montagna). Leggendo, quindi, nel quadro descritto da Pozzi, l’angolo formato da i tre gruppi di rose assieme alle rose del vaso centrale si viene a formare una A che si interseca con una M composta dai gigli. Tutti i fiori quindi parteciperebbero a definire la sigla mariana, senza escludere che nel virtuosismo del pittore la sigla si possa estendere oltre fino a comprendere e richiamare, nella forma del geroglifico, l’antifona dell’assunta.