Questo quadro è di Gian Piero Restellini (1895-1978): un’Annunciazione esposta nella Galleria d’Arte Sacra dei Contemporanei di Villa Clerici, a Milano.
A guardarlo, il quadro non torna, qualcosa è saltato. L’impostazione a cui siamo abituati, infatti, è rovesciata: a sinistra, dove solitamente abbiamo l’arcangelo Gabriele, c’è Maria; lì, invece, dove solitamente abbiamo la figura di Maria, c’è l’arcangelo Gabriele. Inoltre, Maria porge il braccio nel modo in cui spesso è ritratto l’angelo. L’angelo si porta la mano al petto nel gesto tipico delle rappresentazioni dell’Annunciata.
Il contesto è invece quello tradizionale e immediatamente riconoscibile: un ambiente interno, un porticato, la colonna in posizione centrale, la colomba dello Spirito Santo, l’apertura verso la natura e il cielo.
Potrebbe essere semplicemente una trovata estemporanea del pittore, oppure questa sorta di capovolgimento di ruoli può essere occasione per approfondire il tema dell’Annunciazione.
Lo spazio di mezzo è lo spazio dell’incarnazione, dove le parole dell’annunciazione precedono il Verbo incarnato. Nel mezzo infatti, c’è la colomba e c’è la colonna. E la colonna in mezzo è Cristo, su di lui infatti è costruita la Chiesa. Sullo sfondo, verticale come la colonna, c’è un cipresso come ad anticipare la missione, la passione e la morte di Cristo.
Il rovescimanento è nell’aver fatto di Maria colei che annuncia e l’Angelo colui che ascolta. E’ lui l’annunciato. E’ lei il vero messaggero, è lei che reca la novità. Perché tutto il creato taceva aspettando trepidante il Sì di Maria.
Lo spiega bene un’omelia di S. Bernardo di Chiaravalle:
“Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano. O Vergine, da’ presto la risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo, anzi, attraverso l’angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli la Parola: di’ la tua parola umana e concepisci la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la parola eterna”.
La novità è quel Sì di Maria. Forse, perché, la richiesta di riconciliazione da parte del Padre non è una vera notizia. Forse, il suo venire tra noi era stato tentato già molte volte nella storia. Il suo amore insistente, che non abbandona, non fa notizia. Trovare quella riposta, quel Sì, libero e assoluto, questo è l’evento. Questo è l’annuncio che l’angelo ha raccolto.
Come nella bellissima antifona “Alma Redemptoris Mater”: … tu quae genuisti, natura mirante, tuum sanctum genitorem …
è il creato a stupirsi del sì di Maria: è il miracolo dell’incarnazione, che incessantemente interpella la responsabilità dell’uomo.
Singolare. Ma come mai non era mai stato tentato questa iconografia diversa?
Ot: forse ti può interessare questo. L’hai gia visto? http://www.stefanoborselli.elios.net/news/archivio/00000412.html
Baltassar, grazie per aver ricordato questa bella e utile citazione.
Biz, dici che non sia mai stata tentata altrove? Temo comunque che se portata avanti con troppa disinvoltura sia facile qualche scivolone teologico…
Non avevo ancora visto questo intervento sul sito di Borselli. Invece quel video lo avevo citato già qualche tempo fa:
https://delvisibile.wordpress.com/2007/04/19/orientamenti2/
E come si legge lì non mi suscita lo stesso entusiasmo di Salingaros. Invece sempre molto interessanti le riflessioni di De Marco. Su Botta ho del materiale che mi piacerebbe postare, ma che è ancora lì da sgrezzare… In effetti, la cosa più evidente è che l’architetto contemporaneo pensa la chiesa come un edificio e lo immagina sempre come un volume visto da fuori, poi passa a risolvere l’interno. Le persone quasi sporcano la sua immagine plastica. C’è ancora molta idologia della forma pura. L’impressione è che altare, ambone, sede e assemblea siano quasi percepiti come un fastidio da delegare all’architetto da interni, arte minore.
Riguardo al video, forse sono d’accordo di più con Saligaros che con te.
Non tanto per l’altare prima e dopo in sè, quanto per il processo di preparazione.
L’atto di apparecchiare, con cura, è un principio di ornamento (inteso in senso buono)
Ora il punto è lo scollamento fra l’ornamento come attività ordinatrice che ha un senso anche metafisico, con il suo prodotto. Quando l’ornamento viene percepito come qualcosa di posticcio e convenzionale, deve cadere.
Ma questa caduta, se non è solo un fatto di mutamento di gusto, ma invece del principio dell’ornamento, non è una cosa buona.
Naturalmente, sarebbe sbagliato pensare di ripristinare l’ornamento a partire dal suo prodotto (l’ornamento come cosa, slegato dal suo principio)
bello e giusto quello che dici. sono d’accordo. L’ornamento come prinicipio garantisce vivibilità e leggibilità (o forse prima leggibilità e poi vivibilità). Ma, come tu dici, non tutto l’ornamento è però attività ordinatrice, a volte è posticcio. ovvero non è segno che ordina, e non orienta. Ad esempio il 99% dei piercing che si vedono in giro.
Per quanto riguarda il video, si può apprezzare l’attività dell’ornamento ma il rischio è una reiterazione secondo un modulo che nel tempo aveva mostrato i suoi limiti (e i suoi errori: parete, tabernacolo centrale, ecc). Insomma è un ornamento che rischia di non orientare, e per una questione che si basa sull’orientamento della celebrazione è un bel paradosso.