Del Beato Angelico il Vasari, nelle Vite, scrive: “Aveva costume non ritoccare né racconciare mai alcuna sua dipintura, ma lasciarla sempre in quel modo che erano venute per la prima volta, per credere (secondo ch’egli diceva) che così fosse la volontà di Dio”.
Una citazione per tornare, e forse approfondire, su quanto si diceva, ovvero: l’opera eccede l’intenzione dell’artista. Terminare è consegnare, sancire una cesura, consacrare. Che non è solo quel constatare che l’opera non appartiene più all’artista. Non è tanto ribadire un’ermeneutica continua, ma ricordare che l’artista crea partendo dal già creato, da una natura già inscritta.
Il pericolo non è che l’artista faccia male. O perlomeno è un pericolo minore. La materia più sfigurata mai cesserà di testimoniare un’eccedenza, di rivendicare una consacrazione. Il pericolo è che l’artista pretenda di creare, pensando che questo coincida con il delirio di rimanere sempre legato alla propria opera, di essere colui che presiede al senso dell’opera.