Adelphi d’Italia – 2

La tremenda sapienza color pastello riportata da Roberto Calasso dice che ogni cogliere è anche un assassinare. Che poi sarebbe il riflesso necessario dell’unica vera colpa, quella originale: l’amputazione divina, ovvero l’essere due, ovvero la creazione. Oh quella decisione divina, l’originaria decisio (da caedo, il verbo dell’uccidere la vittima sacrificale con effusione di sangue) che effettuò il primo distacco! La vita ora esige che si colga qualcosa. E Calasso sa che quechcotona, in nahuatl, la lingua degli aztechi, significa al tempo stesso “tagliare la testa a qualcuno” e “cogliere una spiga con la mano”.

L’assassinio, ricorda Calasso, ci insegue ovunque, fin dentro il metabolismo. Infatti, la vita, se vuole perpetuarsi esige che si colga qualcosa. Ogni crescita e ogni conseguente aumento di potenza è decisione di crescita. E la massima crescita si ha quando il cogliere è anche un uccidere. Invece di uno stelo, sradicare il cuore palpitante, con la “farfalla di ossidiana”, dal tronco della vittima riversa… si è inondati di sei-sette litri di sangue. E’ l’esuberanza della vita, che soltanto in quel sangue si promette perenne .

I mattatoi di Chicago, i laboratori con rane o embrioni, le centrali nucleari nel deserto: i templi dove si accumula la forza, oggi, si sottraggono alla vista. Per morire e far morire si cerca l’ospedale, la stanza riservata, il silenzio. La modernità cerca la forza pulita e la morte esatta. Calasso, invece, ricorda l’agile gesto del sacerdote, accarezza con le parole la pietra tiepida dell’altare in cima alla piramide, vista da tutti. L’applauso a che altro serviva se non a coprire le urla della vittima?

Ma tutto torna, anche se con nome diverso. Oggi si immette nel sangue del destinato la quantità esatta di sedativo. Nello stomaco della mummia dell’uomo di Tollund, l’impiccato al palo sacrificale rimasto intatto per millenni nelle argille blu della Danimarca, si trova l’orzo intaccato dal fungo ergot dalle proprietà allucinogene e sedative.

La tremenda sapienza color pastello di Calasso riconosce i suoi dèi in azione ancora oggi, ancora “s-catenati” anche se magari nascosti, mentre l’Occidente così emancipato è in preda alla paralisi. Infatti, ogni sacrificio è riconoscimento di un Altro, ma oggi non sanno più a chi darsi: allora il mondo finisce per darsi a quel goffo, sinistro corteo che Stirner aveva descritto: alla Ragione, alla Libertà, all’Umanità, alla Causa. Possiamo aggiungere all’Autodeterminazione.

(In corsivo, molte delle citazioni prese da R. Calasso, La rovina di Kasch, Adelphi, in particolare pagg 177-203).

(continua – 3)

9 Comments

  1. Gentile Hortensius
    cercavo pagine web su Calasso e l’Adelphi e mi sono imbattuto nel vostro blog. Il tuo scritto ispirato alla ‘Rovina di Kasch’ mi ha molto interessato. Devo ammettere che quella parte del libro a cui ti riferisci, intitolata ‘Elementi del sacrificio’ è la più difficile e la più misteriosa tra le molte pagine di Calasso. Lo posso ben dire visto che ho letto quasi tutti i suoi libri. Ma l’averli letti letti non vuol dire averli capiti del tutto. I libri di Calasso si prestano inoltre a certi fraintendimenti. Il lettore moderno legge di sacrifici umani e di altari irrorati di sangue e subito attribuisce allo scrittore la volontà di reintrodurli. Chi affronta i testi letterari in questo modo non credo che abbia neanche molte speranze di cogliere il senso spirituale delle Scritture. Ma come ben documenta la parte finale del tuo discorso, sarebbe meglio riconoscere il modo in cui i sacrifici continuano ad operare oggi, sotto varie forme, spesso anonime e nascoste agli sguardi.  Poi in questi giorni la parola più ricorrente in tv e giornali è proprio ‘sacrificio’ (per superare la crisi). E questo non mi rende affatto tranquillo.
    Grazie dunque per gli spunti che mi hai offerto. Il blog mi sembra molto interessante e vi darò un’occhiata più approfondita. Il mio blog è ancora in fasce, ma mi propongo un discorso molto circoscritto: studiare l’Adelphi come libro unico per tentare di cogliere il disegno generale che la regge. Senza pregiudizi ma per la pura passione di conoscere.
    Bruno C.
    P.s.
    Mi piacerebbe capire meglio cosa intendi per “tremenda sapienza color pastello”.

  2. Gentile Cumbo,
    l’approccio appare dei migliori: adelphi è un serpente formato da tanti anelli; un libro unico, come dice l’editore. Mi auguro solo che il tuo lavoro non si trasformi nell’incensare le piccole grandi ossessioni di questa casa editrice. Non perché non lo meriti, sia mai, ma perché a questo ci pensano già Repubblica, Corriere, Stampa e Sole24ore, che non si capisce dove inizino le loro terze pagine e dove finisca il lavoro dell’ufficio stampa adelphico tanto appaiono tutti devotamente all’unisono.
    Certo, Calasso appare come Re Mida, e che tocchi il raffinato trattato gnostico del II secolo o la crosta di un romanzetto carognoso, tutto lui trasforma in oro.
    Poi come Re Mida, anche lui sarà stato folgorato dal vecchio Sileno: così ogni suo meticoloso risvolto di copertina ci ricorda che la miglior cosa per noi è impossibile raggiungerla perchè sarebbe il non essere mai nati e che la seconda cosa migliore è morire subito.
    Reintroduzione di antichi riti? No, di certo, sono al massimo suggestioni, brividini che servono a tardare uno sbadiglio in tanti salotti.
    L’operazione è culturale. Erudita e lenta. Come dice Guenon, nume tutelare, il serpente cerca di modificare l’esperienza di Dio. Ecco quel Dio tremendo, numinoso, distante quanto feroce che la migliore abiezione promette di far raggiungere. Del resto è Ceronetti che lo dice, che trattasi di circolo neognostico. Non si tratta di antichi riti. Si tratta di aprire il giornale al mattino e dire: quanto di tutto questo, per quanto poco, ho aiutato che non fosse trattenuto? (e quest’ultima non è una mia caduta moraleggiante, ma aneddotica, o, se vogliamo, un tipo specialissimo di agiografia).
    Nel post precedente c’è un link al libro di un amico della casa editrice. Monnezza purissima, ma rivelatrice di un ménage.
    Infine, il color pastello, il colore delle copertine. A me viene sempre in mente Teorema di Pasolini: quella signora di casa, borghese che sdraiata nel parco della villa legge il libro adelphi, con alle porte la follia provocata dall’avvento dello “straniero”.
    Ciao e buon lavoro,
    lc

  3. Gentile Ic,
    le tue parole generose e garbate stimolano ulteriori riflessioni, e spero di non approfittare della tua ospitalità se aggiungo qui qualche postilla.
    Mi incuriosisce che vedi nei risvolti calassiani un invito a “morire subito” dato che “la miglior cosa per noi è impossibile raggiungerla perché sarebbe meglio il non essere mai nati”. La “Rovina di Kasch”, con la storia di Far-li-mas, mi pare vada in senso opposto: la letteratura proietta l’uomo in una dimensione che si può chiamare di “sospensione” della morte. La morte non muore, non è sconfitta, ma qualcosa può succedere in quella nuova e strana dimensione della lettura, che ha qualcosa di insidioso per la morte stessa. Il pensiero, certo, alla fine soccombe alla morte, insieme al corpo. Ma di fronte alla materia che si disgrega il pensiero ha in sé la capacità di tenere insieme tutte le cose, il ‘potere’ di riconoscerne l’intima corrispondenza. E credo, che oltre alla bontà che ognuno ha dimostrato in vita, sia questa una delle porte che permette il passaggio dall’altra parte.

    Coltivare una visione del Tutto, questa l’ “ossessione” che mi spinge a riconoscere nell’Adelphi una buona compagna di viaggio. Il ventaglio delle sue proposte editoriali non esclude affatto il dialogo con “tutti gli altri libri” (meno che mai con la Bibbia e i testi sacri in genere) ed esclude ogni forma di fondamentalismo culturale. L’Adelphi è una forma possibile nata dai vasti campi del sapere e della letteratura, con contributi di ogni latitudine e grado, come ben testimonia il suo ricco catalogo. Troppo spesso si attribuisce un carattere totalizzante una delle tante voci che in esso sono contenute, come Ceronetti, Citati e tutta la “banda neognostica”, per intenderci. Per Calasso il discorso è diverso, perché è il padrone di casa, e perché non è classificabile facilmente in nessuna etichetta particolare. Non ho nei confronti di Calasso quella prona devozione che spesso, effettivamente si scorge nelle pagine dei giornali che tu citi. Io sono affascinato dalla sua prosa e da quel palazzo dalle mille porte che è il suo work in progress (che scrive da 25 anni e che è arrivato a quota sei volumi). Sono curioso di sapere se ciò che chiamiamo Adelphi sia contenuto, in nuce, dentro la sua opera. E presto, a Palermo, prenderà forma un progetto collettivo orientato in tal senso aperto a tutti gli interessati.
    p.s.
    Silvana Mangano che legge “L’anello di re Salomone” in una scena di Teorema. Me ne sono accorto l’ultima volta che ho visto il film. Accattivante il tuo riferimento, molto bella la frase con cui concludevi. Da qualche tempo penso al rapporto Pasolini-Adelphi. Se hai qualche informazione al riguardo te ne sarei grato.

  4. Sulla coerenza editoriale sono d’accordo: ogni suo elemento si tiene e, ormai, in ogni caso, tutto mastica e tutto metabolizza. Beh, alcuni elementi no, rimarrebbero proprio indigesti anche a adelphi: certe fetecchie buoniste e certi grandi. Tra i grandi, difficile che possa assimilare un San Tommaso d’Aquino (a meno di non “speziarlo” con un qualche Cacciari) o una Edith Stein (mentre guarda caso va a nozze con Weil, Hillesum, Arendt). Un caso strano, secondo me, è Girard (ma ci tornerò sopra).
    Sulla morte e la narrazione. E’ vero, parola e mente in RC creano un incanto che poi è un assoluto che tende a risucchiare tutto. Il grande dono sarebbe la pazzia, o meglio la possessione. Il divino qui si palesa ovunque, come lo palesa Pavese: così naturale e così tremendo. Il mondo arcaico aveva il rito per tenerlo a debita distanza, circoscriverlo nel sacro. Oppure, abbiamo l’arte, come dice Auden, per non morire a causa della verità.
    Eccoci, allora, nuovamente al Re Mida e Sileno (il dialogo che citavo è in Nascita della tragedia di Nietzsche). Alla fine, alla base di tutto, c’è la creazione intesa come colpa, un dualismo dato da un errore divino, una “rottura dei vasi”. Siamo uno scherzo di natura. E questa è gnosi, da cui discendono i manuali di ascesi e libertinaggio profusi dal catalogo adelphi.
    Connessioni pasolini-adelphi, in effetti sarebbe un bel tema…

  5. «[…] La suprema, inarrivabile, Pin-Up, tale Calasso Roberto, del Self-Publishing Supremo: ha fatto una casa editrice per autopubblicarsi, distilla l’ennesima, soffocante, goccia di veleno del Nihilismo coevo. Inutile dire quanto inutile sia questa accozzaglia di lemmi, parafrasi, ecfrasi tutti melangiati in un linguaggio combinatorio, per dirla all’Aldo Grasso, che risulta, alfine, solo in una combine da Casinò Royale. Nel rinvigorire bête fauves quali la sodomia, l’incesto, il sado-masochismo, il delitto, il crimine, il Totalitarismo delle decisioni, l’irridere plateale ai bisogni altrui, l’esibizionismo, la volontà generale di Calasso e dei suoi accoliti fa cadere nello stesso momento il concetto di cultura dopo aver reso ridicola ogni pretesa, d’altra parte, di costituirsi force d’avant-garde. Semmai fu forza di retroguardia. Stupri, scempi, massacri, omicidi, possessioni, incesti, infanticidi, suicidi, omofagie, sodomie, coprofilie: quale ‘banalità di base’ rivitalizzarli, quali negromanzie riscoprirli, rinverdirli, attraverso una pomposa, artefatta, filigrana imbastita dalla peggior mitografia greca od azteca quando poco più giù, a qualche grado di latitudine più in basso, nei mattatoi di Shangai, nei workshop di questa o quell’altra Area militare interdetta ad ogni occhio foresto, nei bassifondi della Mala, nei caveau delle Banche, si trova tutto questo scontato. Se la Cultura è Altro, come dev’essere, dalla Natura bruta, altrimenti, se fosse omologa alla Natura non si distinguerebbe da essa: sarebbe solo una mera tautologia della prima, che senso ha, se non quello della celebrazione del Niente Sovrano: ‘Re del Mondo’ dei nihilisti?, ripetere pedissequamente gli orrori che avvengono spontaneamente in Natura? Se la morte e la sua sfera ammorbante, la ‘derivata’ delle malattie terminali, già esiste, già preme, di sé e per sé, nell’ambito della Natura, quale senso anima i nihilisti à la Calasso, nel loro lumachesco sbavar di complimenti sdolcinati alla morte, rifacendo, lo diciamo ancora, scopiazzando, l’andazzo tale e quale, della vita che s’imbatte (anche) con la morte e dunque invalidando il concetto di cultura quale portatrice di un valore Altro, superiore, a quello di Natura, se non quello d’insufflare sul Tutto e su Tutti il medesimo spirito che loro idolatrano? Per nulla originali, i nihilisti, cultori acerrimi della Zero-growth, nelle loro algide movenze, mimano e miniano allo stesso tempo, il fluire vitale, ma sono ossequiosi e zelanti, fino al feticismo, a cogliere, amplificandolo senza soluzione di continuità, sopra il tutto, quel quid venefico racchiuso negli eventi mortiferi – che sì è incluso nella vita ma come una parte non come Tutto, così la morte non è il senso della Vita, come loro invece vorrebbero che sia! tentando pervicacemente di eleggerlo a diktat conclusivo dell’intiero ciclo vitale.
    Se, per loro, la comunità della morte è lo zenith a cui tendere perché non seguono coerentemente, fino in fondo, in prima persona, la sorte dei lemmings, roditori che si auto-immolano quando hanno ignavia, accidia, di loro stessi? […]»

    P.S.: Si noti che spesso e volentieri a dispetto dell’etimologia del termine gay, gayness, gaio, felice, festoso, ridente, l’universo di tali ‘signori’ è davvero ben lungi dall’essere il Sole Radioso dell’Avvenire ma invece il Tramonto Funesto di ogni Speranza, in primis quella della Vita tout court. Non per niente la Gayness è andata sempre ‘lingua in bocca’, ‘deretano & camicia’, con il grandioso, funestamente, movimento del Nichilismo occidentale: lo scorfano teutonico per antonomasia, Nietzsche, primogenito ‘Hustler’ del funereo pensiero dissolutorio di marca occidentale. A questo riguardo imperdibile è uno smilzo libercolo a firma di Gianpaolo Silvestri [per beffa della Sorte costui ha ricoperto funzioni presso un dicastero dell’Igiene e della Sanità, sic!, in alcuni passati governi nostrani…] dedicato alla figura di Mario Mieli, avanguardista della prima ora qui da noi del Gaypride, intitolato Oro Eros Armonia. L’ultimo Mario Mieli, per i tipi di edizioni Libreria Croce, Roma 2002. Tralasciando l’ammiccamento del titolo ad infatuazioni alchemiche, para-esoteriche, magari volute in maniera epidermica (sebbene Mieli si dichiarasse a conoscenza della Via della Mano Sinistra nonché di certi ‘segreti massonici’, pp. 17, 18) , il testo è un vero e proprio ‘manifesto’ dell’Invertito, inteso come individuo destinato a sovvertire ogni valore, ogni morale, ma non per questo con una condotta a casaccio ma deliberatamente volta a ‘rovesciare’ tutto quanto è in alto, tutto il cielo, in basso, nel fango, nella feccia più recondita. Mieli, da cui hanno preso nome certi circoli omosessuali, era un énfant gaté della Milano-bene, dedito a tutti i parafernalia dell’Inversione Maestra: sodomia, necrofilia, apologia dei vespasiani, comunismo utopico, eutanasia, sadomasochismo, ambientalismo, adorazione dell’eugenetica LGBT, rivolta anti-Logos ed anti-Nomos en travesti, coprofagia, celebrazione dei peggiori secreti del corpo umano, pedofilia, pp. 41, 43, 67, 71, portatore vessillifero della Dissoluzione: si dette il suicidio per dimostrare de facto a dove tendeva il suo Culto al Nero. Su questo tema è perfetta un’altra scolara ante litteram della Dissoluzione corrente, Lou Andreas-Salomé, la sodale di Nietzsche, che cita Freud a pagina 23 del suo Anal und Sex, Mimesis, Milano 2010, ove costui equipara, con ovvio compiacimento della Andreas-Salomé il comportamento volto all’eros anale ed al sadismo nella sfera animale con quelle pulsioni meno civilizzate possibili presenti nei popoli primitivi. Di nuovo il diktat ‘progresso è regresso’, la sempiterna manfrina dei cascami del marcio, rischiara di sinistri bagliori il target a cui tendono questi banditori del Disfacimento Totale. L’ideologia del Regresso all’Opera al Nero. Sempre a questo proposito il bordone diffuso in maniera roboante dal quanto mai nefasto pamphlet adorniano, parliamo del celeberrimo Minima Moralia, quanto poco studiato davvero, addirittura ‘battuto’ agli onori delle cronache dal guitto cinematografico di successo – Michelangelo Antonioni – in cui si accusa surrettiziamente il Progresso d’essere Regresso in realtà è solo una chiamata negromantica a far schiattare il Progresso e rovesciarlo nel suo contrario, il Regresso della Barbarie. Mentre si evoca lo spettro della Barbarie nella situazione coeva si da la stura all’ingresso della medesima a piene mani nella civis contemporanea: è la stessa terapia di chi cura l’alcolista col gin. Esemplificatrici le dichiarazioni di Jung a Serrano contenute nel suo Il cerchio ermetico, op. cit., a pagina 78: «[…] avendo fatto sì che la nostra personalità inconscia fosse soppressa, noi siamo esclusi da una comprensione o apprezzamento dell’educazione e civilizzazione dell’uomo primitivo. La nostra personalità inconscia tuttavia esiste ancora e occasionalmente esplode in modo incontrollato. In questo modo siamo in grado di ricadere nel più sciocco barbarismo e più abbiamo successo nella scienza e nella tecnologia, più diabolico è l’uso che facciamo delle nostre invenzioni e scoperte». Scoperta qui l’apologia più sfacciata del ‘regressismo’ invocato: “…siamo in grado di ricadere…”. ‘Siamo in grado’ sta a significare ‘noi vogliamo esser in grado’: un gergo dell’autenticità per Lor Signori ferventi credenti dell’Opus Alquimia. Di seguito a questo tema a pagina 117 le carte si scoprono chiaramente quando si dice che gli antichi dei sono presenti ed hanno bisogno solo di una certa condizione per essere riportati pieni forza e non per nulla si cita il sillogismo tra il dio arcaico Wotan ed la furia barbarica nazista: sono i sacrifici umani consustanziali alle pre-civiltà barbariche che si vogliono riportare in auge! Vedi difatti tutta la litania funebre che ha costellato in questo senso la magmatica opera del successore a tutti gli effetti di Jung, James Hillman. Molto fuor dai denti a pagina 118 si auspica l’equipollenza dell’uomo ad altri animali psichici onde esser posseduto e manovrato da ‘forze archetipiche’: Calasso contrariamente al pensiero comune non ha inventato nulla e riciancia un bolo già masticato da altri cattivi maestri, Jung in testa.

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