Una bella sorpresa trovare Carlo Ossola su Avvenire e di trovarlo con questo tono. Sto anche cercando, per riproporlo qui, un suo articolo agostano apparso sull’inserto Domenica del Sole24ore che aveva a tema Bibbia e letteratura (ma in agosto le rassegne stampa vanno tutte in vacanza…). In attesa, ecco l’articolo apparso domenica su Agorà di Avvenire.
Perché la notte è più “santa” del giorno di Carlo Ossola
Perché la notte di Nicodemo è più santa delle opere del giorno? Perché Michelangelo, il possente creatore della Sistina, dell’Alfa e dell’Omega, della volta della Creazione e della parete del Giudizio finale, ha voluto dedicare alla Notte alcuni dei suoi più ispirati sonetti, nonché le figure della Sacrestia Nuova di San Lorenzo?
La prima risposta viene dal mondo antico: «Lathe biosas», vivi nascosto. Anche il Cristo – secondo Charles de Foucauld – visse nascosto trent’anni, artigiano, umile operaio, e solo tre ebbe di predicazione pubblica sino alla morte. Michelangelo lo riassumerà vigorosamente: «Quel che resta scoperto al sol, che ferve / per mille vari semi e mille piante, / il fier bifolco con l’aratro assale; // ma l’ombra sol a piantar l’uomo serve. / Dunque le notti più ch’e’ dì son sante».
Santità che Manzoni attribuisce alla notte almeno nella conversione dell’Innominato; che il Leopardi riconosce nel Canto notturno.
Alla notte abbiamo riportato la nascita di Gesù, mentre in molti apocrifi essa si poneva nell’ora di mezzogiorno sì che allo zenit il creato si ferma ( Protovangelo di Giacomo).
Max Milner, uno dei più profondi critici contemporanei (1923-2008), che abbiamo commemorato per impulso di Stéphane Michaud il 16 settembre alla Sorbona, ci ha insegnato a percorrere questo cammino della notte, egli acuto interprete della ‘noche oscura’ di Juan de la Cruz, delle notti di tentazione e smarrimento di Bernanos, delle parvenze, incarnazioni e mimetismi del diavolo in età romantica ed oggi. In un suo libro che attende di essere tradotto ( L’envers du visible. Essai sur l’ombre, Paris, Seuil, 2005), lo studioso evocava i ‘notturni’ della meditazione, nella parola di Victor Hugo: «L’uomo che non medita vive nella cecità, l’uomo che medita vive nell’oscurità», e ricordava la sentenza profetica di Diderot, uno dei padri dei Lumi: «Soyez ténébreux», cercate le profondità dell’invisibile. Egli stesso ha percorso questa parabola nella sua mirabile analisi, testamentaria, del Cristo a Emmaus di Rembrandt (Parigi, Musée Jacquemart André), volume edito da José Corti nel 2006. In quella profonda oscurità serale, nella quale il Cristo ha spiegato tutto il senso delle Scritture ai discepoli ignari, giunto al momento della fractio panis, un bagliore inusitato lo fa balzare all’indietro: l’uomo Gesù sorprendendosi della sua stessa transustanzazione in quel momento operata: Egli, nella notte, sobbalzava, scoprendosi Dio.
E notturna sarà la venuta: «Veniam ad vos ut fur», verrò silente come il ladro nella notte.
Cercare, nell’oscuro di noi, il fondo è il nostro compito: raggiungerlo per fondarci: «Quel motto del cercare-il-fondo, / che noi leggemmo. / Gli anni, e le parole, trascorsi.
/ Siamo sempre noi. // Sai, infinito è lo spazio, / sai puoi anche non volare, / sai, quanto s’inscrisse nel tuo occhio / rende più fondo, a noi, il fondo» (Paul Celan, Das Wort vom Zur-Tiefe- Gehn, da Die Niemandsrose, 1963). Agostinianamente, il poeta tedesco addita, a ciascuno di noi quel fondo di verità che ci attende: «Va’ a te stesso, aggrègati» ( Ortwechsel). Occorre percorrere la notte, dell’anima e del creato, perché infine si pervenga «danzando, / oltre l’antimateria, / fino a te, / nel vivaio delle comete» ( Die Gesenkten, da Dimora del tempo). Santa notte, di raccoglimento colmo d’infinito, «nel vivaio / delle comete».