L’Accademia Urbana delle Arti, presieduta da Rodolfo Papa, è il progetto, nato alcuni anni fa, volto a costituire un luogo dove studiosi di diverse discipline possono porsi in relazione per pensare l’arte, e in particolare l’arte sacra, in tutte le sue dimensioni e in tutta la sua profondità.

Quest’anno l’Accademia ha inaugurato un Seminario Superiore dal titolo Le ragioni dell’Arte, un ciclo di incontri e di studio che prevede il seguente programma di interventi:

MERCOLEDÌ 5 MARZO 2008
PROF. RODOLFO PAPA,
LE RAGIONI DELL’ARTE
MERCOLEDÌ 2 APRILE 2008
AB. DOM MICHAEL JOHN ZIELINSKI OSB Oliv. ,
LA PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA TRA TUTELA E SVILUPPO DELL’ARTE CRISTIANA.
MERCOLEDÌ 7 MAGGIO 2008
P. UWE MICHAEL LANG d.O. ,
L’ARTE SACRA NEL MAGISTERO DELLA CHIESA.
MERCOLEDÌ 4 GIUGNO 2008
DOTT. ARCH. CIRO LOMONTE,
QUALE IDEA DI CHIESA NELLE CHIESE CONTEMPORANEE
OGNI INCONTRO HA LUOGO NELLA SEDE DELL’ACCADEMIA, PIAZZA E. DUNANT 55, ALLE ORE 17,30. ALLE ORE 18.00 HA INIZIO LA RELAZIONE, ALLE ORE 18.40 IL DIBATTITO. ULTERIORI INFORMAZIONI E I TESTI DELLE PROSSIME RELAZIONI SARANNO DISPONIBILI QUI.

Con il permesso dell’autore, pubblico qui, in due puntate, la prima relazione che si è tenuta il 5 marzo scorso.

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Le ragioni dell’arte

di Rodolfo Papa 

«A differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale.» (Lettera del Santo Padre Benedetto XVI alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008)

Presentazione e premesse.

Il progetto di un’Accademia delle Arti è nato alcuni anni fa, alla luce dell’idea di un luogo in cui accogliere intorno alle questioni dell’arte, e in modo particolare dell’arte sacra, un nucleo di studiosi di diverse discipline, affinché diversi saperi si ponessero in relazione in una sorta di “luogo comune”, in cui pensare l’arte, in tutte le sue dimensioni e la sua profondità.
Il Seminario Superiore, che oggi inauguriamo, esprime proprio questa esigenza di condivisione del sapere che è fondamentale per l’elaborazione di un pensiero artistico. Infatti, se non c’è comunione condivisa di valori, se non c’è una comunità, cioè una vera e propria κοινή o κοινότης (luogo comune), non c’è possibilità di produrre arte: l’arte ovviamente ha bisogno per sua natura dell’artista, ma ha anche bisogno dei committenti e dei fruitori, cioè di persone che la vogliono e che ne godono, che sanno desiderarla, comprenderla e valutarla.
Un grande esempio storico di tale comunione d’intenti, è l’incarico di realizzare La Maestà, offerto a Duccio [1] dall’intera città di Siena: i senesi avvolsero nella tranquillità e nel silenzio la bottega del maestro per tutta la lunga durata della realizzazione dell’opera, evitando di passare con i carri sulla strada o di far transitare bestiame da condurre al mercato, repressero persino gli schiamazzi e i giochi di strada dei fanciulli, e infine parteciparono tutti, in devoto e orgoglioso raccoglimento, alla processione liturgica che accompagnò l’opera d’arte dalla bottega dove era nata alla Cattedrale cui era destinata. Committenza [2] , artista e fruitori sono tutti partecipi, nella diversità dei ruoli, alla realizzazione del grande capolavoro.
Il titolo del Seminario Superiore, Le ragioni dell’Arte, vuole indicare il nucleo della questione e il metodo per affrontarla. Infatti la declinazione al plurale della ragione vuole sottolineare la complessità della questione artistica, irriducibile a un solo aspetto, e vuole anche esplicare la conseguente necessità di una pluralità di approcci disciplinari, che con metodologie diverse affrontino le varie parti del discorso, con lo scopo finale di ricomporlo in unità.
I diversi saperi, nella loro autonoma peculiarità, dovrebbero entrare in dinamica relazione, trovare ordine e composizione, in una sorta di enciclopedia [3], nel senso letterale del termine, cioè di struttura circolare, che componga una visione unitaria della complessa realtà dell’arte, superando la frammentazione, anche attraverso l’ausilio di una elaborazione comune delle riflessioni poste in campo da ogni disciplina, e cioè di una vera e propria Disputatio tra i membri del seminario.
Per questa mia relazione introduttiva, ho pensato utile proporre un “discorso” alla maniera antica del “discorso accademico”, che però, data la peculiarità del nostro metodo, si mostrasse già molteplice e plurale, e cioè come una composizione di discorsi. Del resto il significato del verbo latino discorro indica un “andare di qua e di la”, un muoversi liberamente, che permane nell’uso del sostantivo latino discursŭs, che indica anche in un’azione di cavalleria, l’“aggirare” militarmente il movimento delle truppe avversarie, e che, nel contesto botanico, significa intreccio di radici, offrendo un’ulteriore splendida metafora [4]. Sappiamo bene come nel linguaggio filosofico il “discorso” sia la ragione stessa, capace di muoversi di verità in verità, nei percorsi dimostrativi e argomentativi.
Quindi con i miei “discorsi” sull’arte vorrei indicare dei percorsi di ricerca, ben radicati, e capaci anche di muovere accerchiamenti e rapidi spostamenti, per disorientare e accerchiare gli “avversari”.
I sentieri di ragionamento sull’arte che ritengo fondamentali, e che indicano anche aree di ricerca distinte e per certi versi gerarchicamente disponibili, sono: 1) il discorso ingenuo; 2) il discorso corretto; 3) il discorso colto; 4) il discorso sapiente 5) il discorso morale.
Ma andiamo con ordine.

Discorso ingenuo.
Il primo livello di considerazioni che si può condurre sull’arte è necessariamente e volutamente ingenuo, cioè fiducioso fino all’eccesso, tanto da sembrare sprovveduto, mosso da una sorta di candida inesperienza. In realtà è lo sguardo di chi guarda il mondo rimanendone incantato ed è il primo passo che occorre fare, cercando di recuperare tale sguardo semplice, se lo abbiamo già perduto [5].
Se si guarda all’arte con tale sguardo ingenuo, si riscontra in essa un progresso, non necessariamente evolutivo, in cui fin dall’inizio tutte le forme sono già date, in cui in maniera implicita sono presenti tutti gli eventuali sviluppi. Questo lo si può affermare, per esempio, all’interno della cultura mediterranea, analizzando direttamente descrizioni e ricostruzioni narrative proposte dalla letteratura greca e latina. In sostanza, l’artista è in grado di dire qualcosa di nuovo attingendo direttamente dai suoi talenti e dalla sua propria capacità di essere inventore [6], e quindi di essere un “creatore” di immagini, ma sempre rimanendo fedele a quel che l’arte implicitamente gli mette a disposizione e cioè tutto il suo “possibile”. Ogni artista si muove nel campo dell’arte e cioè in questo possibile che è l’insieme dell’arte stessa. È la stessa situazione che accade con il linguaggio, che sicuramente ha tante forme e una storia, ma queste forme e questa storia sono linguistiche perché stanno dentro le possibilità aperte dal linguaggio stesso. Dunque, affermare –come se fosse evidente- che la scelte entro il possibile dell’arte seguano una lingua ineluttabilmente evolutiva, è illogico e in altri termini “falso”.
Esiste una antica tradizione che fa risalire la nascita della pittura al contorno di un’ombra, cui Plinio dà ampio spazio: «I Greci dicono, alcuni che [la pittura] fu trovata a Sicione, altri a Corinto, tutti comunque concordano che nacque dall’uso di tracciare con delle linee il contorno dell’ombra umana: pertanto la prima pittura fu di questo tipo» [7]. Plinio completa questo racconto con quello della origine della coroplastica, ponendo in continuità, secondo una solida tradizione, la nascita della pittura e la nascita della scultura: «Butade Sicionio, vasaio, per primo trovò l’arte di foggiare ritratti in argilla, e questo a Corinto, per merito della figlia che, presa d’amore per un giovane, dovendo quello andare via, tratteggiò i contorni della sua ombra, proiettata sulla parete dal lume di una lanterna [8]; su queste linee il padre impresse l’argilla riproducendone il volto; fattolo seccare con gli altri oggetti di terracotta, lo mise in forno e tramandano che fu conservato nel Ninfeo finché Mummio non distrusse Corinto» [9].
In questa mitica origine è contenuto già tutto il linguaggio dell’arte.
Lo stesso Leonardo ripropone sinteticamente il leggendario racconto della nascita della pittura, ricco di spunti teorici di riflessione: «Come fu la prima pittura. La prima pittura fu sol di una linea, la quale circondava l’ombra dell’uomo fatta dal sole ne’ muri» [10].
Leonardo in questo modo raccoglie tutti gli elementi fondamentali del linguaggio pittorico -la linea, il corpo, il lume naturale, l’ombra-, radunandoli intorno alla questione dell’origine e in quell’origine c’è già tutto il possibile della pittura [11].
La scienza della pittura proposta da Leonardo radica l’arte della pittura nel corpo, che è principio teorico e realtà evidente, ed infatti «Il principio della scienzia della pittura è il puonto, il secondo è la linea, il terzo è la superfizie, il quarto è il corpo che si veste de tal superficie; e questo è quanto a quello che si finge, cioè esso corpo che si finge, perché invero la pittura non s’astende più oltra che la superficie, per la quale si finge il corpo, figura di qualonque cosa evidente» [12]. Dunque la scienza della pittura di Leonardo si radica nel quadrinomio punto-linea-superficie-corpo, che trova immediato riscontro nel ben più tardo trinomio Punto, Linea, Superficie [13] che costituisce il titolo del trattato che Kandinsky scrisse nel 1926, quale teoria del proprio operare artistico. C’è un’apparente concordanza di impostazione, nel riportare la pittura agli elementi della realtà visibile, ma in Kandinsky manca il corpo. Il corpo è invece, secondo Leonardo, il vero protagonista dell’opera pittorica e nella capacità di dire i corpi sta la potenza del linguaggio pittorico. La pittura che vive nella bidimensione della superficie, ha come naturale oggetto la tridimensionalità del corpo e proprio nel rapporto tra la tridimensionalità della realtà concreta e l’apparente tridimensionalità dell’effettiva bidimensionalità della realtà picta risiede la specificità dell’arte figurativa, specificità che si fonda sulle caratteristiche della stessa realtà, ovvero il suo vivere in gradazioni di luce e di ombra, che, non a caso, costituiscono il secondo principio della scienza della pittura.
Sulla mancanza del corpo nella teoria di Kandinsky si possono condurre innumerevoli considerazioni [14], qui ci interessa sottolineare che si tratta appunto di una sottrazione, di una mancanza, di un meno, difficilmente interpretabile a rigor di logica in termini “evolutivi”.
Confrontando teoricamente il trattato di Leonardo con quello di Kandinsky, osserviamo una riduzione di campo, una sorta di limitazione, una rinuncia, e, unita ad essa, la subordinazione ad una visione del mondo di tipo spiritualista, che sappiamo legata più o meno direttamente alle teorie di Madame Elena Petrovna Blavatskij (teosofia) e di Rudolf Steiner (antroposofia) [15].
Non solo, ma soffermandoci ancora sull’esempio di Leonardo pittore, troveremo in esso altre virtualità presenti. Molta arte del ‘900 si è compiaciuta della scoperta della artisticità delle macchie, sottolineando le innumerevoli possibilità espressive ad esse collegate. Ebbene Leonardo aveva già proposto queste considerazioni; egli scrive che il pittore guardando «in alcuni muri imbrattati di macchie […] trarrà grande vitalità a destare l’ingegno a varie invenzioni» [16].
L’arte ha, dunque, conosciuto fin da subito la possibilità di rappresentazione attraverso varie modalità linguistiche. Un’esempio molto famoso, per rimanere entro l’area della tradizione mediterranea, è quello dei vari periodi dell’arte vascolare minoico-cretese: dalle varie geometrizzazioni astratte dei Vasi di stile Kamares fino ai Vasi di Stile nuovo con rappresentazioni di tipo naturalistico desunte dal mondo marino, come polipi e pesci. Potremmo concludere che nel bagaglio generico dell’arte, l’astratto, il geometrico e il figurativo sussistono insieme come un dato possibile già dall’inizio. L’utilizzo di uno o più di questi elementi è determinato non tanto da una attitudine interna all’arte, quanto piuttosto da fattori correlati all’arte, per esempio, -solo per citarne alcuni-, la visione del mondo o la religiosità posseduta dall’artista nel proprio bagaglio culturale, e la finalità della sua rappresentazione. Se ne deduce che semmai la forma scelta dall’artista è direttamente legata alla fede e/o all’ideologia cui l’artista aderisce e non già ad un presunto miglioramento evolutivo delle forme. Quindi nel momento in cui alcuni artisti decidono di non guardare più alla tradizione cristiana europea e si rivolgono ad altre tradizioni extra europee, lo fanno con la consapevolezza di chi non ha alcun interesse verso le proprie radici cristiane. Esempi divenuti ormai classici di tale atteggiamento, sono sia il movimento religioso dei Nabis, teorizzato da Sérusier e Denis, che quello di parte della Bauhaus dove le istanze religiose neopagane di Johannes Itten esplicitano il senso di ciò che si sta affermando. Questi gruppi artistici sono di fatto veri e propri precursori dell’attuale New Age.
Quando si indaga l’arte e le sue dirette produzioni, ci si deve porre una domanda: “perché”, ovvero quale è la motivazione principale che spinge alla rappresentazione artistica, il motivo, l’idea che c’è sotto.
Legata e conseguente alla domanda “perché”, c’è la domanda “cosa”, cioè la domanda sull’oggetto che l’artista vuole rappresentare e poi, in fine occorre domandare “come”, cioè quale strumento è più adatto per raggiungere lo scopo [17].
A proposito del “perché”, della finalità, occorre sottolineare che l’“inutilità fattuale” dell’arte significa il grado della sua importanza, come del resto già sottolineava Aristotele, proponendo egli stesso una sorta di mitica origine delle arti (nel senso ampio di techne): «È logico, dunque, che chi per primo scoprì una qualunque arte, superando le comuni conoscenze sensibili, sia stato oggetto di ammirazione da parte degli uomini, proprio in quanto sapiente e superiore agli altri, e non solo per l’utilità di qualcuna delle sue scoperte. Ed è anche logico che, essendo state scoeprte numerose arti, le une dirette alle necessità della vita e le altre al benessere, si siano sempre giudicati più sapienti gli scopritori di queste che non gli scopritori di quelle, per la ragione che le loro conoscenze non erano rivolte all’utile» [18].

Il discorso ingenuo ci mostra che l’arte è già tutta implicita e che corre un evidente “nesso necessario” tra significante e significato: certe visioni del mondo portano con sé certe forme espressive e alcune forme espressive appaiono inconciliabili con alcune visioni del mondo [19]. Lo sviluppo tecnico, teorico, formale, linguistico, iconografico accade più per accumulo e per selezione nell’uso, piuttosto che per rotture, rivoluzioni e cataclismi. Nell’arte c’è un passaggio di testimone che, di mano in mano, perde qualcosa, mentre sovviene qualcos’altro, che altera qualcosa mentre conserva qualcos’altro; c’è l’equivoco e l’intendimento del precetto, l’utilizzo scorretto della regola che, nell’uso, diviene a sua volta regola e che poi, dopo qualche passaggio, viene corretto e ritorna ad essere errore. L’andamento dell’arte, se vogliamo descriverlo utilizzando il linguaggio della geometria analitica, non è quello di una sinusoide, che implica dei cicli obbligati di crisi e di sviluppo, né una linea retta, che implicherebbe un costante progresso [20], ma piuttosto una linea mista irregolare, che registri attentamente gli andamenti vitali dell’arte.
Tra Ottocento e Novecento, alcune ipotesi ideologiche che volevano rappresentare anche la storia dell’arte in termini di eterna ciclicità conflittuale sono giunte ad ipotizzare un futuro senza arte, perché secondo tali previsioni essa sarebbe risultata “morta” [21]. Invece, proprio la vitalità dell’arte è l’aspetto che andrebbe studiato e affermato con più forza rispetto al cinico presagio, per valutare quale effettivamente sia l’andamento reale di questo percorso. Ciò a cui stiamo assistendo in tutto il mondo, da qualche anno, è un rinnovato interesse per il disegno, per il disegno d’anatomia, e per l’arte italiana dal Quattrocento al Seicento. Infatti artisti cinesi, giapponesi, indiani oltre a quelli più tradizionalmente legati all’arte occidentale come statunitensi o russi, solo per fare qualche esempio, stanno lavorando al recupero delle forme artistiche rinascimentali. Ed il movimento è sicuramente molto più ampio di quel che si vede su riviste e giornali di settore, i quali per la loro stessa natura commerciale, non posso registrare questa onda che si sta sollevando contro il brutto contemporaneo.
Alcune riflessioni proposte da Remo Bodei in uno dei suoi ultimi scritti risultano estremamente interessanti, perché in maniera onesta registrano questo fenomeno sociale, prima che artistico: «L’ideale delle belle arti non è tuttavia tramontato neppure in seguito all’apparente apoteosi del brutto. Si assiste anzi, in questi ultimi tempi, al veloce congedo dalla adorniana fase del cordoglio, a una crescente insofferenza nei confronti dell’arte brutta e dello sperimentalismo esacerbato delle avanguardie. Il gesto di violare regole e tradizioni lascia ormai indifferenti: la sua eco si spegne presto nel frastuono dei linguaggi, degli stili, delle mode. Esistono rimozioni che non siano state rimosse? Si conoscono forme di negatività, di licenza, di trasgressione a cui sia stata negata la facoltà di esprimersi? Ora che quasi tutti i generi di provocazione sembrano esperiti ed esauriti, si vede bene che gli scandali o si dimenticano subito oppure, per durare appena qualche mese, hanno bisogno di venire fomentati in modo artificiale» [22].
In realtà, i teorici, gli artisti e i critici d’arte che hanno difeso l’arte nel secolo XX, sono molti, e tra questi ricordiamo il critico francese Jean Clair [23] che, prima al Centre Pompidou e poi al Padiglione Internazionale della Biennale di Venezia del 1982, ha creato scandalo organizzando retrospettive su artisti figurativi. In Italia, ci sono le posizioni di Stefano Zecchi, che in uno dei suoi testi più famosi afferma: «Il nichilismo moderno non è una conseguenza della tecnologia e dei suoi linguaggi, ma ne è la causa. In questo secolo (il ‘900) l’arte ha rinunciato all’espressione, a una espressività fatta di simboli e di bellezza vivente. Le grandi avanguardie hanno teorizzato la fine di ogni eccellenza comunicativa, hanno adeguato i propri linguaggi a quelli tecno-scientifici. Era inevitabile che depotenziandosi il linguaggio espressivo dell’arte basato sui principi dell’educazione estetica, che a loro volta erano fondamento dell’eticità della convivenza civile, tutto il sistema comunicativo finisse per perdere progressivamente la sua antica funzione di costruzione umanistica dell’uomo» [24].
Mi piace concludere questo primo discorso sull’arte, con un aforisma del grande artista contemporaneo, Salvador Dalì [25]: «Pittore non forzarti ad essere moderno. Sfortunatamente è l’unica cosa che, qualunque cosa tu faccia, non potrai evitare di essere» [26].

(1- segue)

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1. Fonti per l’analisi dell’opera di Duccio di Buoninsegna (1255 c. – 1319 c.) : Cfr. L. GHIBERTI, I Commentari, 1450 (ed. a cura di J. von Schlosser, Berlin 1912); S. TIZIO, Historiae senenses, (1530 c.) ms., Siena Biblioteca Comunale, B III, 6-15; G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti architetti pittori e scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, descritte in lingua toscana…,Firenze 1550, (ed. a cura di L. Bollosi e A. Rossi, Torino 1986); G. MANCINI, Considerazioni sulla pittura, 1621, ( ed. a cura di A. Marucchi e L. Salerno, Roma 1956); F. BALDINUCCI, Notizie de’ Professori del disegno da Cimabue in qua…, II, Firenze 1686, (ed. a cura di F. Ranalli, I, Firenze 1845); G.A. PECCI, Relazione delle cose più notabili della città di Siena, Siena 1752; G. DELLA VALLE, Lettere senesi di un socio dell’Accademia di Fossano sopra le Belle Arti, Venezia 1782-Roma 1786.
2. Cfr. AA.VV. Arte, committenza ed economia a Roma e nelle corti del Rinascimento 1420-1530, a cura di A. Esch e C. L. Frommel, Torino 1995; R. PAPA, Creatività e committenza nell’arte. Riflessioni sul ruolo della committenza nell’arte contemporanea, in “Grande Enciclopedia Epistemologica”, n. 2, 1999.
3. Cfr. G. MAZZOTTA, Dante’s Vision and the Circle of Knowledge, Princeton 1992.
4. La metafora botanica ha all’interno dell’iconografia una lunghissima e ricchissima tradizione, che ha il compito di rappresentare la dimensione spirituale e morale dell’uomo. L’intreccio di rami o di vegetali è metafora dell’animo nobile e coltivato, ed ha come esempi classici il “giardino all’italiana” rinascimentale, gli emblemi o ancora le decorazioni apparentemente insignificanti delle grottesche, che invece dicono che l’ambito d’azione dell’opera d’arte, sia nelle chiese come nelle dimore private, è quella dell’animo dell’uomo. Infatti i Padri della chiesa, riprendendo l’utilizzo classico di tale tradizione, la ripropongono come utile allegoria, fin a giungere poi nei testi di spiritualità di autori come sant’Antonino o san Bonaventura, solo per citarne un paio. Cfr. M. LEVI D’ANCONA, The Garden of the Renaissance. Botanical symbolism in italian painting, Firenze 1977; M. BAXANDALL, Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento, Torino 1978, pp. 41-103; S. SETTIS, Iconografia dell’arte italiana 1100-1500: una linea, Torino 1979-2005; A. ZAMPERINI, Le Grottesche. Il sogno della pittura nella decorazione parietale, Verona 2007.
5. Una delle prerogative della contemporaneità è la perdita dell’ingenuità, del saper essere stupiti, meravigliati e soggiogati dalla “meraviglia” dell’arte. Si potrebbe dire che c’è un discrimine netto tra un momento in cui nell’occhio dell’uomo l’incanto è ancora vivo e presente, e un momento nel quale esso è disincantato. Quell’incanto è prerogativa essenziale per uno sguardo che dia credito alla visione del mondo. Il disincanto è molto vicino all’odierno “politicamente corretto”, che, pur rispettando apparentemente tutte le parti e tutte le posizioni in gioco nell’elaborazione del pensiero politico attuale, è di fatto incapace di affermare la verità e per questo è relativista, tradotto oggi nel neologismo “ma-anchista”.
6. Si fa qui riferimento al termine classico “inventio”, che si potrebbe tradurre con l’imaginativa, cioè con quella capacità di inventare, immaginare cose che in natura non sono date, ma che rispondono comunque ai principi stessi della natura. Per quanto riguarda il concetto di inventio: Cfr. W. TATARKIEWICZ, Storia dell’Estetica, Vol. III, Torino 1980, pp. 8, 45, 90, 93, 126, 129, 131, 177, 181, 198, 231, 236, 243, 246, 281, 287, 334, 445, 499, (con riferimento al concetto di invenzione nelle teorie artistiche tra Quattrocento e Seicento); J. SCHLOSSER MAGNINO, La Letteratura artistica, (1924) trad. it, Firenze 1986; A. BLUNT, Le teorie artistiche in Italia dal Rinascimento al Manierismo, Torino 1966; L. VENTURI, Storia della critica d’arte, Torino 1964; N. PEVSNER, Le accademie d’arte, Torino 1982; P. BAROCCHI, Scritti d’arte del Cinquecento, voll. X, Torino 1979.
7. «Graeci autem alii Sicyone, alii aput Corinthios repertam, omnes umbra hominis lineis circumducta, itaque primam talem» PLINIO, Historia Naturalis, XXXV,15; trad. it., Einaudi, Torino 1988, pp. 307-308.
8. Questa scena è riproposta, interpretata in termini settecenteschi, nel dipinto di D. ALLAN, The origin of Painting (The Maid of Corinth), del 1775, olio su tavola, conservato ad Edimburgo, National Gallery of Scotland.
9. «Fingere ex argilla similitudines Butades Sicyonius fugulus primus invenit Corinthi filiae opera, quae capta amore iuvenis, abeunte illo peregre, umbram ex facie eius ab lucernam in pariete lineis circumscripsit, quibus pater eius inpressa argilla typum fecit et cum ceteris fictilibus induratum igni proposuit, eumque servatum in Nymphaeo, donec Mummius Corinthum rverterit, tradunt.» PLINIO, Historia Naturalis, XXXV, 151-152, trad. it. cit., pag. 473.
10. LEONARDO DA VINCI, Libro di pittura. Codice Urbinate lat. 1270 nella Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di C. Pedretti, Firenze 1995, parte II, n. 126.
11. Cfr. R.PAPA, Riflessioni sui fondamenti dell’arte sacra, “Euntes docete”, Pontificia Università Urbaniana, III/1999 .
12. LEONARDO DA VINCI, op. cit., parte I, n. 3.
13. W. KANDINSKY, Punto linea superficie. Contributo all’analisi degli elementi pittorici, trad. it., Milano 1968, 198610 (l’edizione originale, dal titolo Punkt und Linie zu Fläche, è del 1926). Questo saggio è “una prosecuzione organica” (come scrive Kandinsky stesso nella “Prefazione”) di Über das Geistege in der Kunst, Insbesondere in der Malerei del 1912: trad.it. Lo spirituale nell’arte, Milano, 1989.
14. Cfr. R. PAPA, La “scienza della pittura” di Leonardo. Analisi del Libro di pittura, Milano 2005, pp. 51 e ss.
15. In questi termini va compresa la presunta “spiritualità” di W. KANDINSKY, Lo spirituale nell’arte, cit.
16. LEONARDO DA VINCI, Libro di pittura, cit., II, 66. Cfr. C. PEDRETTI, Le macchie di Leonardo, XLIV Lettura Vinciana, Firenze 2004.
17. Cfr. R.PAPA, Lo statuto epistemologico dell’arte. Riflessioni teoretiche in margine a Leonardo, in “Euntes Docete”, (2001) 1, pp. 159-173.
18. ARISTOTELE, Metafisica, A, 1, 981 b 13-20 (trad. it. G. Reale, Milano 2000).
19. A tal riguardo sarebbe necessario molto spazio per spiegare bene come l’arte cristiana, che esiste ed è fatta di tanti artisti, committenti e fedeli che nel corso dei secoli hanno lavorato per il bene della Chiesa e dell’intera umanità, abbia fatto fin dall’inizio una scelta di campo netta sulla forma, che è necessariamente figurativa. Questa scelta è stata fatta principalmente perché lo impone il mistero dell’Incarnazione, Morte e Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, e in secondo luogo, perché il discorso linguistico dell’arte cristiana non può che essere universale, cioè capace di parlare a tutti, cosa che l’esperienze artistiche delle neo-avanguardie, per loro stessa teorizzazione “tribali” ed “esoteriche”, non possono fare, in quanto volutamente destinate a pochi, e solo a coloro che hanno la “parola segreta”. Si citano qui -polemicamente- due testi, in cui appunto appare evidente la cultura esoterica dell’arte europea contemporanea, nel primo testo, e i fraintendimenti che si giocano sulla teoria dell’arte cristiana ogg, nel secondo: Cfr M. PERNIOLA, Enigmi. Il momento egizio nella società e nell’arte, Genova 1990; ID, Del sentire cattolico. La forma culturale di una religione universale, Bologna 2001.
20. Riguardo il concetto di “progresso” nell’analisi dell’arte, Gombrich ha proposto una paradossale posizione della critica che di fatto, continuando a pensare in termini di progresso il mito del futuro, non rintraccia artisti o opere superiori alle altre, ponendo di fatto tutto sullo stesso piano, senza distinzioni. Ovviamente questa posizione da un lato libera lo studioso da pregiudizi nei confronti del singolo artista e permette una ampia analisi del suo lavoro, ma dall’altro impedisce di vedere in una singola opera, magari del passato, un punto di arrivo o di irraggiungibile compiutezza. Di fatto questa assenza di giudizi di valore introduce una visione “relativista”, che insidia dal di dentro l’operare artistico, considerandolo non più come un luogo dove si affermano valori universali, ma semplicemente come un susseguirsi di eventi più o meno interessanti sul piano della cronaca. Alla fine del suo percorso critico, per certi versi illuminante, lo stesso Gombrich arriverà ad affermare l’inesistenza dell’arte. Cfr. E. GOMBRICH, Arte progresso, (1971) trad. it. Bari,1985
21. Scrive Hegel: «l’odierno artista ha bisogno in modo particolare del libero sviluppo dello spirito, nel quale ogni superstizione e ogni fede che rimangono limitate e determinate forme dell’intuizione e della rappresentazione, sono abbassate a semplici aspetti e momenti, di cui lo spirito libero si è impadronito […] in questo modo l’artista, il cui talento e il cui genio si sono liberati per sé e sono passati dalla limitazione precedente ad una determinata forma d’arte, ha adesso a sua completa disposizione ogni forma e ogni materia» G.W.F. HEGEL, Vorlesungen über die Ästhetik, (Lezioni sull’Estetica) tr. it Milano 1979, II Sez. 3 III 3, pag. 177.
22. R. BODEI, Le forme del bello, Bologna 1995, pag. 120
23. J. CLAIR, Critica della modernità. Considerazioni sullo statuto delle belle arti, Paris 1983, Torino 1984.
24. S. ZECCHI, L’artista armato. Contro i crimini della modernità, Milano 1998, pag. 256.
25. Ennio Flaiano definì: “il pagliaccio pubblicitario di se stesso”, in E. FALIANO, La solitudine del satiro, Milano 1973, pag. 122. L’artista contemporaneo è costretto spesso a fare il pagliaccio, per stare in un mondo che non riconosce più la bellezza dell’arte.
26. S. DALÌ, Diario di un genio, (1964) Milano 1996; S. DALÌ, I cornuti della vecchia arte moderna, (1956) Genova 1991


3 risposte a “Le ragioni dell’Arte – 1”

  1. […] del visibile ascende huc et ostendam tibi « Le ragioni dell’Arte – 1 […]

  2. Avatar Maria da Glória Coutinho

    J’ai fait une importante découverte sur des signes géométriques et ses significations théologiques. En bref, une iconothéologie, c’est pourquoi j’accepte le mot – “ICONOTEOLOGIA” en portugais, comme en italien; après l’avoir trouvée dans un article ancien, de 1928, j’ai cherché et trouvé ce site. Il faut aller en arrière, bien plus de 2000 ans pour comprendre comment toute cette logique a commencé. Comment la langue en mots, et la langue qui a fait l’usage des formes géométriques avait une correspondance, et a fonctionnée pour montrer Dieu à tous ceux qui ne savaient pas lire. Hegel (mort en 1831) a dit, que “l’art avait laissé sa fonction de représentation sensible du divin, depuis longtemps”. Mais, on peut les voir partout, même au début du XXe siècle, les formes des styles (chrétiens) de l’architecture n’étaient pas encore perdues, et ces dessins étaient employées à cause de sa signification très ancienne. Si ça intéresse à quelqu’un (?) Je le répète des 2002, et dans mon pays, que ça soit à l’université ou non, je vois que ça n’intéresse à personne. Pourtant c’est fondamental pour comprendre notre culture européenne, qui a été fortement chrétienne.

  3. […] ha deciso che la realtà non interessa, chiudendosi in una rappresentazione autoreferenziale [1 – 2]. E anche quando sembra il contrario, questo è quanto viene insegnato: ad ammiccare alla […]

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