Sapienza

Triste quella sapienza. Furbesco quanto sciatto il riferimento a Galileo. Sciatto quel ripetere slogan presi in prestito e ormai stantii, segno della mancanza di ogni minima creatività. La trovata della porchetta, poi, è l’unica fame che quelle aule sembrano suscitare. Fosse stata almeno quaresima, avrebbe assunto uno guizzo di irriverenza. Invece solo un po’ di adrenalina, garantita dai corrieri e dalle tv. Ri-conosceranno se stessi su youtube. Con buona pace di Socrate.

Sermone della Montagna

Ecco invece una lezione dipinta dal Beato Angelico che riprende il “Sermone sulla Montagna”. I discepoli sono disposti in cerchio, segno di comunione e intimità. E’, inoltre, segno di eternità, dove l’inizio e la fine, l’alfa e l’omega si ricapitolano nella figura del Maestro. Gesù ha in mano il rotolo, egli è infatti la Parola che adesso si è fatta viva e visibile e che rimanda oltre nel dito puntato al cielo. E’ come se indicasse il centro del cerchio, il punto fermo che ne muove la rotazione.

Anche la scienza non fa altro che cercare di adeguarsi al cerchio, di cercare senza sosta la semplicità, la potenza del minimo-massimo, di ottenere la massima efficienza con il minimo sforzo, di imitare la linea del cerchio.  Triste è la scienza che cerca nei suoi perimetri il punto fermo che fa muovere la ruota.

Gesù insegna, e insegnando sembra imprimere nei suoi discepoli un movimento circolare. Egli infatti si rivolge al primo alla sua destra e poi come attraverso il tempo questo muovere si propaga di persona in persona lungo il cerchio dei suoi discepoli. Deve passare anche, in fondo, attraverso quell’aureola nera, attraverso il buio, la fatica, la renitenza, la negazione. Ma se passa questo scoglio ecco che la sapienza trasmessa diventa compimento, diventa eureka, e non solo theoria ma sapere che sa contemplare il mistero. Riconoscendo la gratuità ultima che presiede il darsi di questa sapienza, le mani allora si congiungono in preghiera, in lode e ringrazimento. Come fa quel discepolo che ci guarda, vicino al maestro, invitandoci a sedere sulla roccia di quel monte.

“L’uomo vuole conoscere – vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra “scientia” e “tristitia“: il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste. Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa”. Dal discorso di Benedetto XVI non pronunicato all’Università la Sapienza.

2 Comments

  1. Dubito che gli organizzatori della “frocessione” conoscano il legame irriverente tra Quaresima e porchetta (al giovedì). Un po’ come Dario Fo, tengono lezioni su cose che non conoscono, straparlano di un’immagine che hanno costruito nella loro mente. La porchetta è lì perché è il solo orizzonte conosciuto: è quello il parametro di riferimento, il centro del mondo. Ma quale Ulisse oltre le colonne d’Ercole, questi non sono mai andati oltre la sagra del maiale…

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