Nel giardino dell’Eden, Eva porge la mela ad Adamo. Lui guarda quel frutto con sospetto misto a desiderio. Per cedere, gli basterà il semplice invito della donna. Il serpente, infatti, di Adamo non se ne cura. E’ con Eva che deve sfoderare la sua strategia più infida e potente.
Strategia che si palesa nel dipinto: il serpente ha assunto il volto di Eva, il suo profilo, gli stessi capelli biondi e ricci. Ed Eva, nelle parole del serpente, pensa di riconoscere se stessa, di vedere la propria identità. Ci sta cascando in pieno, pensando di aver trovato ciò che è meglio per sé, il proprio destino, la promessa del centuplo. Il peccato, infatti, non si presenta mai per quello che è, ma appare sempre sotto le mentite spoglie di qualcosa di bello, di un bene fatto per l’uomo. E’ la strategia di Satana, il mentitore per eccellenza.
Perché accontentarsi di essere secondo il disegno di Dio, perché limitarsi ad accompagnarlo se si può essere come Dio? Ecco la falsa promessa: Eva vede se stessa, ed è tutto quello che vede ma pensa di vedere il tutto. Un’autoreferenzialità onnipotente quanto irreale: il destino promesso dal serpente si infrangerà di lì a poco.
L’uomo e tutto il creato attenderanno un altro volto, nel quale riconoscersi.