Quod visum placet

La regola del fundraising insegna che per le cause sociali arrivano (quando arrivano) tante piccole donazioni, per le cause culturali arrivano (quando arrivano) poche grosse donazioni.

I beni culturali ecclesiastici hanno visto grandi mecenati. Ma se dovessimo considerare solo gli interventi dei grandi mecenati, di certo non potremmo oggi godere di quella bellezza diffusa che la fede nei secoli ha costruito. L’arte cristiana testimonia il convergere di entrambe le tipologie di donazioni, le tante piccole e le poche grandi. Anche perché quando l’arte sacra è sacra, diventa difficile distinguere tra causa sociale e causa culturale.

Il rischio, oggi, è che i beni culturali passino come un settore assistito, dove si attendono i contributi pubblici, della Cei, delle fondazioni di erogazione ovvero sostegni sempre precari. Il tutto con il rischio di tagliar fuori, e quindi deresponsabilizzare, la comunità locale nella partecipazione alla creazione, alla conservazione, alla valorizzazione del patrimonio di fede e di cultura, patrimonio che la stessa comunità locale (con pochi grandi e molti piccoli donatori) per secoli ha costruito e promosso.

Limosina

Riprenderemo questi argomenti, a settembre, dopo la montagna. Anticipo solo che per raccogliere risorse appellarsi alla bellezza non basta. Bello è quod visum placet, ciò che visto piace, ma c’è chi non vede proprio. Non è facile far vedere e non è facile far gioire della bellezza.

Come mostra bene questo video che documenta un esperimento. Il musicista Joshua Bell, violinista tra i più affermati, senza annunciare nulla, come uno qualunque, ha suonato 6 pezzi con il suo stradivari in una stazione della metropolitana di Washington DC. In tre quarti d’ora, con un migliaio di passanti, ha raccolto 27 donazioni per un totale di circa 50 dollari (compresa una donazione unica di 20 dollari da una persona che lo ha riconosciuto). A qualcuno possono sembrare pure tanti. Il punto però è un altro: quella musica, se fosse stata presentata in modo diverso, se fosse stata vista in modo diverso, avrebbe raccolto molto ma molto di più, dai grandi come dai piccoli donatori.

Ulteriori informazioni sul blog di Valerio Melandri

2 Comments

  1. Questa è l’epoca del Consumo e nelle teorie economiche non c’è spazio per la contemplazione ne tantomeno per la creazione di opere d’arte. tutto è per il guadagno, se non c’è guadagno non c’è nulla.
    anche le arti sono state piegate a questo principio regolatore. si fa arte”contemporanea” non per costruire il modo ne per rappresentare il cosmo, ma solo per guadagno. tutte le strutture pubbliche private non hanno alcun interesse per l’Arte intesa in modo classico. se una cosa non produce danaro non ha alcun diritto di cittadinanza nel mondo contemporaneo.
    é questa bassa prospettiva economicistica che imbarbarisce l’Occidente, non si studia, non si sa leggere il passato e quindi non si può costruire il futuro. i distruttori volevano questo e questo è arrivato.
    ma non disperiamo, perchè da queste ceneri si può facilmente riemergere
    basta coinvolgere quante più persone è possibile alla verità e alla bontà del Bello e da lì si può ripartire.
    poi avremo sicuramente più committenti sia piccoli che grandi. Ri-educare questa è la soluzione, partendo dai giovani per tramandare il testimone della nostra civiltà. ognuno se prenda carico e magari fra qualche tempo raccoglieremo i frutti.

  2. grazie per questo intervento (e per quello sul molto bello sul Caravaggio sul quale ho ancora qualche dubbio da condividere appena ho tempo per metterlo per iscritto). grazie perché lascia speranza e non la butta nel solito ormai non c’è più l’arte di una volta.
    su questo tema devo tornare al più presto. perché i nodi tornano al pettine: oggi si appellano alla cultura, all’arte in nome dell’economia, per far progredire l’economia, perché l’economia da sola non va da nessuna parte, non funziona, ha bassa performance. e si ritrovano in mano un’arte e una riflessione sull’arte puramente speculativa che fa ridere per la sua totale entropia. ma chi si appella alla cultura non è neppure in grado di capire se quell’arte “funziona”. e abbiamo lo zoppo che si fa guidare dal cieco, con appelli alla cultura che sa del magico… mi vengono im mente tutte le factory e le fabriche e le officine e i lab dove (a parte poche eccezioni) mettono in mostra tanti ego talmente autoreferenziali che neanche sanno rapportarsi l’uno all’altro. insomma anni luce dalla cupola del brunelleschi che era un cantiere immenso dove tutto si integrava, anni luce dall’umanesimo cristiano. hanno celebrato per anni una nozione di arte che si crogiuola di definirsi pura e adesso le chiedono (imprenditori, assessori, ecc) di essere guida capace di integrazione. insomma la beffa dopo la farsa.
    cominciare dalla ri-educazione, sono d’accordissimo. ma ci tornerò sopra perché non vorrei, mi scuso per la fretta, fare solo confusione. grazie ancora
    luigi

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