C’è anche se non si vede

 reims

Le chiese sono alte, molto alte. Ma anche lassù, tra le volte, ci sono, spesso neppure decifrabili, pietre scolpite che ritraggono episodi dell’Antico e Nuovo Testamento. Ci sono vetrate impossibili da decifrare tanto sono alte e minute nelle figure. Eppure committenti le hanno volute, artisti le hanno pensate, artigiani le hanno prodotte con somma cura. Quelle immagini non si distinguono bene, ma ci sono, si sa che ci sono e sono fatte in quel modo anche se non si vedono bene. Quelle vetrate altissime le hanno fatte con quei dettagli minuti anche se nessuno vedrà mai quelle minuzie. Perché non è questione di conoscenza, né di vedere per sapere o per educare. O perlomeno non è solo questo.

Credo, piuttosto, sia una questione di storia, ovvero di incarnazione. Il modo in cui Dio si è rivelato non ci è indifferente. Se l’universo ha una curvatura, è quella della schiena di Dio che si è abbassato per incontrare la sua creatura. Questa storia è talmente precisa e determinata che Dio stesso, l’invisibile, ha preso una determinata forma, quella forma, quel corpo. Scandalo supremo, nella stessa Trinità c’è un corpo, trasfigurato, ma quel corpo.

Ogni forma, quindi, che dica di questa storia non può mai essere neutra o astratta o di fantasia arbitraria. La libertà della creatività è sempre legata al Logos. Così la luce che entra alta dalle vetrate non può essere una luce qualunque ma luce che ha assunto una determinata storia e un determinato corpo, una determinata forma. Se risalire una chiesa è andare verso l’eschaton testimoniato dall’abside, tutto nella chiesa deve ricapitolare la storia della salvezza. I vetri colorati danno forma alla luce secondo quanto è avvenuto o secondo quanto è avvenuto alla luce della fede. Perché l’importante non è che il particolare sia visto, la chiesa non è un museo, l’importante è che sia presente e presente con quella determinata forma.

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