Si diceva allora della “mostra impossibile” del Caravaggio. Vediamo come viene presentato da Dario Fo il quadro “San Matteo e l’angelo” [per vedere e sentire il brano dello spettacolo, clicca qui > entra > i percorsi > lezioni di dario fo > clicca sul quadro].
“San Matteo – dice Fo – era nel gruppo di Gesù forse la persona più colta, sapeva di numeri, di lettura… e qui chissa perché come è venuto in mente, il racconto che fa Caravaggio, è di un uomo un po’ ritardato, un pochettino lento, un vecchio un po’ rintronato, che sta, questo è importante, con il ginocchio su uno sgabello… gesto di chi vuole ascoltare per intiero e che resta un po’ frastornato… e là c’è un’altra invenzione straordinaria, l’angelo. Notate come è dipinto questo manto dell’angelo, non è reale… è un vortice che arriva dentro con una forza incredibile dove le mani dell’angelo danno indicazione a questo testone che non vuol capire le cose, te le ripeto un’altra volta: prima non rubare, secondo falsa testimonianza, la donna degli altri, stai attento, cioè proprio con insistenza e lui frastornato che lo guarda…”
Ma dove l’ha visto lui questo tontolone? Ma stiamo guardando lo stesso quadro?
L’Angelo è entrato in scena e ha chiamato Matteo all’ascolto. L’evangelista neanche si siede per obbedire subito alla chiamata (obbedire ha la stessa radice di ascoltare), ha aperto il libro (ma il segnalibro è all’inizio delle pagine) e sta per iniziare a scrivere. Matteo, quasi un Girolamo nella sua veste rossa, guarda le mani dell’angelo: pur nella distinzione delle rispettive funzioni, del parlare e dello scrivere, le mani del santo hanno la medesima postura di quelle dell’angelo.
Per quanto riguarda l’allusione di Fo ai dieci comandamenti… non c’entrano niente (Fo è rimasto fermo alla precettistica). Nel tetramorfo, l’angelo è quello che simboleggia il vangelo di Matteo, e lo simboleggia perché inizia con la genealogia, con l’origine anche umana di Gesù. L’Angelo quindi probabilmente in questo momento iniziale sta richiamando la sequenza genealogica di Gesù.
E la storia di questo Matteo zuccone da dove salta fuori? Dario Fo avrà leggiucchiato qualcosa, ma si confonde o cerca di confondere, tirando in ballo un altro quadro di Caravaggio, sempre un Matteo e l’angelo, un’opera andata perduta durante i bombardamenti di Berlino. Qui sì appare un Matteo sempliciotto, poco decoroso con un angelo che gli guida la mano. Questo quadro fu rifiutato dalla committenza, e direi anche giustamente: i vangeli sono stati ispirati e non dettati (come invece le tradizioni ebraiche e islamiche considerano i propri testi sacri). Una distinzione fondamentale, certo molto sottile. Forse troppo per chi confonde un quadro per un’altro.
Per chi non si fosse stufato degli strafalcioni, c’è la lectio di Fo sul quadro La conversione di san Paolo commentata da un bel post di zaccheo: emerge come il nostro premio nobel abbia studiato niente popò di meno che sulle carte di Baigent e Leigh, illustri peracottari.
Invece per chi avesse visto lo spettacolo di Fo sul Duomo di Modena, può andare sul sito del Duomo di Modena. Scoprirà che il tempio degli uomini liberi è una chiesa, con perfino statue che illustrano il vangelo e spiegano i sacramenti. Scoprirà, inaudito, che quegli uomini liberi sono autentici cristiani.
Ah dimenticavo, la storia dello sgabello di san Matteo che traballa, la vediamo un’altra volta.