Certo, la salvezza non è una deduzione. Ogni tentativo di ridurre il piano salvifico del Padre a pura logica umana è destinato al fallimento. C’è una sapienza della Croce che mostra come sia stolta la sapienza di questo mondo (1 Cor, 1,20). C’è un confine tra fede e ragione. Ma questo confine non sancisce estraneità e non esclude un incontro.
Questa verità, che Dio ci rivela in Gesù Cristo, non è in contrasto con le verità che si raggiungono filosofando. I due ordini di conoscenza conducono anzi alla verità nella sua pienezza. L’unità della verità è già un postulato fondamentale della ragione umana, espresso nel principio di non-contraddizione. La Rivelazione dà la certezza di questa unità, mostrando che il Dio creatore è anche il Dio della storia della salvezza. Lo stesso e identico Dio, che fonda e garantisce l’intelligibilità e la ragionevolezza dell’ordine naturale delle cose su cui gli scienziati si appoggiano fiduciosi, è il medesimo che si rivela Padre di nostro Signore Gesù Cristo. Quest’unità della verità, naturale e rivelata, trova la sua identificazione viva e personale in Cristo, così come ricorda l’Apostolo: «La verità che è in Gesù» (Ef 4, 21; cfr Col 1, 15-20). (Fides et ratio, 34)
La fede quindi non è un sentimento, non è un contenuto chiuso, non è un cristallo che riflette solo se stesso. La fede, piuttosto, è relazione. E’ un ordine di conoscenza. E l’arte l’ha tradizionalmente raffigurata come una donna. Ma non sempre con le stesse sembianze: anzi, a seguirne anche rapidamente l’evoluzione iconografica, emergono dei cambiamenti emblematici.
Il dipinto qui sopra è di Giotto, cappella degli Scrovegni, 1302-1305: la fede è una donna che impugna la croce astile che a terra frantuma gli idoli. Sotto i piedi calpesta fogli che tratteggiano degli oroscopi. Sul cartiglio che tiene nella mano sinistra sta scritto il Credo. Alla cintura porta la chiave, segno di Pietro e dei successori che custodiscono la vera dottrina. Ma, soprattutto, è una Fede che ti guarda dritto negli occhi.
Andrea Pisano, battistero di Firenze, 1330-1336 (foto di Thais.it): la Fede regge il calice e la croce, con lo sguardo ancora aperto e frontale.
Moretto da Brescia, oggi all’Ermitage, prima metà del cinquecento: la Fede porta un leggero velo che le copre il volto. Riflessiva, raccolta su se stessa, non guarda lo spettatore, cerca riparo dagli sguardi indagatori dietro un leggero velo che le copre il volto.
Alghero, Chiesa di Santa Maria, 1824: la fede è velata e tiene in mano il libro dei sette sigilli. Non la si può guardare negli occhi e lei, a sua volta, non vede. (Più avanti nel tempo cercherò di portare altri esempi di questo tipo di raffigurazioni della Fede, tutte dell’ottocento e primi novecento). Una fede chiusa che fa leva su se stessa. Dove il mistero rischia di farsi sigillo di enigmi. L’incontro con la ragione, descritto anche nella Fides et ratio, risulta compromesso. Una fede irrelata. Forse riflesso della Chiesa dell’ottocento messa sempre più sotto assedio e chiusa in se stessa.
A questo tipo di rappresentazioni della Fede, non ne faranno seguito altre. Anche perché non ci saranno più rappresentazioni. Nessuno cercherà più di dare un corpo a Fede, Speranza, Carità. Prevarrà un gusto sempre più aniconico, che dura tutt’ora. Dovremo cercare altrove la forma delle fede.
Rimane un paradosso: nella raffigurazione della Fede, siamo passati dalla Donna che ti guarda dritto in faccia, forte e sicura, a una Donna velata, bendata e come cieca. Il fatto è che ai tempi di Giotto la donna bendata rappresentava la Sinagoga, colei che non ha riconosciuto il Salvatore, che non ha avuto fede in Cristo.
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La foto “Andrea Pisano, battistero di Firenze, 1330-1336” e di nostra proprietà. Potete usarla ma dovete citarne la fonte.
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