Quando l’assessore ci tiene alla cultura

da Avvenire (29 giugno 2006), articolo di Marina Corradi

I pullmann carichi di turisti si fermano fuori dal centro medioevale. La Madonna del Parto è qui, in questo piccolo museo, dietro a una teca climatizzata, in una penombra illuminata da un’ algida luce a fibre ottiche. L’atmosfera fredda e buia della sala contrasta singolarmente col volto della Madonna, senza tempo nella sua bellezza rinascimentale. Ma ciò che rende profondamente umana la donna dipinta da Pier della Francesca nel 1459 è quella mano posata sul ventre, come a proteggere il bambino in grembo, o a coglierne i sussulti. Per questo, nei secoli, la Madonna di Monterchi è stata venerata dalle donne: da quelle che volevano o aspettavano un figlio, e da quelle che l’avevano avuto, grate. Perfino questa mattina, nella sala dove i turisti vanno e vengono, una sconosciuta ha lasciato un fascio di rose bianche – come per grazia ricevuta.
Ma la Madonna non è più da tempo nella chiesa dove Piero l’aveva dipinta. Sottratta al culto, e messa in questo piccolo museo, a cinque euro al biglietto. «L’hanno rapita», dicono ancora, in paese, i più anziani. Una mattina del 1992, senza alcun annuncio ufficiale alla popolazione, un camion prelevò l’affresco dalla cappella vicino al cimitero, per portarla al restauro. Un restauro da cui l’opera non è più tornata. Chi era devoto a quell’immagine deve pagare per vederla nella penombra artificiale. Non per quella luce era stata dipinta, ma, secondo lo storico dell’arte Richard Offner che la esaminò nel 1947, perchè fosse sfiorata dai raggi del sole che penetravano nella angolatura cappella originaria. Ciò che Piero aveva in mente lasciando immagine sacra in quel preciso luogo – una piccola edicola fuori dall’abitato – era, secondo Offner, la donna incinta nella luce del sole dell’Apocalisse.
Ma non è, la ormai annosa contesa sulla collocazione della Madonna del Parto, solo una diatriba tra critici e sovrintendenze. Dietro, c’è la gente di Monterchi, un borgo adagiato su una collina nella Val Tiberina. C’è un paese divi so. Con un comitato di credenti guidato dall’anziano parroco don Vasco Donati Sarti, che da anni combatte perchè la Madonna torni a casa, cioè nella cappellina del cimitero, o almeno in una chiesa. Perchè torni al culto, dunque, la destinazione per cui è stata creata. Dall’altro, la parte laica e di sinistra del Paese, che ha raccolto recentemente 800 firme perchè la nuova destinazione della Madonna sia un “tempio laico”. Una battaglia di anime insomma s’è sviluppata sopra al capolavoro di Piero della Francesca, attorno a cui la storia di questa comunità ruota da secoli. Perchè la Madonna del Parto è un capolavoro dell’arte rinascimentale di tutto il mondo; ma appartiene anche ai duemila abitanti di Monterchi.
Fra i membri del Comitato per il ritorno dell’opera nella cappella c’è chi, come la signora Matilde Duranti, ha 84 anni, ed è cresciuta sotto lo sguardo della Madonna. «La fonte accanto alla cappella era considerata benedetta dalla nostra gente, tanto che i contadini ci portavano gli animali malati a abbeverarsi. Io, bambina, ci andavo con mia nonna, e c’erano sempre giovani spose o donne incinte davanti, a pregare e a portare fiori. L’attaccamento popolare era fortissimo, così che quando, nel 1943, i tedeschi vennero per portarla via – a sentir loro, in salvo dalla guerra – si scatenò una sommossa popolare. La moglie del dottore chiamò a raccolta le donne, che arrivarono di corsa dai campi con i forconi, e misero in fuga i soldati. La Madonna, quella volta restò dov’era».
Sorride la signora Matilde, e ricorda ancora a memoria i versi popolari scaturiti dall’ epica cacciata: “Monterchi l’altro dì fè la rivoluzione/ da fiacco coniglio d’un tratto mutatte in leone/ in coro gridan le tu’ donne/ mò pur le Madonne ce voglion rubà/ e quelli che l’avevan staccà/ l’er subito artacca/ e via de scollè”(via di corsa,ndr).
Ma il “ratto” fallito ai tedeschi riuscì nel 1992 al sindaco di allora, «che era un comunista», precisano don Sarti e i suoi. Perchè questo paes ino toscano è stato a lungo diviso come in un romanzo di Guareschi, credenti e no, gli uni contro gli altri armati. «Quando il camion con la Madonna sopra attraversò il paese per portarla via, sfilò tra le gente muta, in un silenzio di tomba», dice la Duranti. Come intuendo che non si sarebbe trattato solo di un restauro. Che la Madonna non sarebbe più tornata dov’era nata, esposta ai fedeli che la andavano a toccare.
Quasi quattordici anni dopo infatti è ancora in questa vecchia scuola, in un ambiente artificioso che un autorevole critico d’arte,Thomas Martone, ha definito “atmosfera da discoteca”. Cinque euro a visitatore, un bell’introito per le casse comunali. Ma nel frattempo anche a Monterchi non ci sono più don Camillo e Peppone. Da un anno e mezzo il nuovo sindaco, Aldo Boncompagni, Udc, cerca di trovare una soluzione. L’ultima ipotesi è la sistemazione del capolavoro in un edificio da costruire appositamente, e quindi dedicato al culto. Da Firenze, il sovrintendente regionale Antonio Paolucci si dice d’accordo: «La Madonna deve tornare alla sua destinazione originaria». D’accordo il vescovo di Arezzo, Gualtiero Bassetti, che avrebbe preferito la collocazione primitiva, ma si attesta sul punto fondamentale: «Non spetta a me stabilire dove vada posta l’opera, ma di certo domando che ritorni in un luogo di culto».
E intanto, le 800 firme raccolte per il “tempio laico”.Il problema di fondo è: quella Madonna con la mano maternamente appoggiata sul ventre, è solo opera d’arte insigne da ammirare in un museo, o appartiene anche al popolo dei credenti? Il Sovrintendente Gian Giacomo Martinez : «A fronte dello straordinario interesse della popolazione di Monterchi per quest’opera, noi vorremmo che la comunità locale maturasse una sua posizione concorde. Credo però che la destinazione di culto sia una cornice indispensabile per la Madonna, e credo che si potrà arrivare a una scelta condivisa da tutti». Intanto però sono passati 13 anni, e la Madonna resta nel mu seo. Per vederla si fa la coda con i turisti.
Ma perchè, ti domandi andando a vedere la cappella originaria, in mezzo ai campi, fuori dal paese, un maestro già famoso come Piero dipinse uno dei suoi massimi capolavori proprio in questo luogo disabitato? Si sa che sua madre, Francesca, era di qui, aveva forse in mente lei quando ritrasse quella gestante così vera? Don Vasco, che ci accompagna, spiega però come questo boschetto attraversato da un ruscello fosse fin dall’antichità pagana luogo di culto. Mons Iunonis, si chiamava il luogo, e Giunone era la dea protettrice delle partorienti. Di generazione in generazione, fin dai tempi più lontani, le donne dell’Aretino venivano qui a domandare la fertilità. Questa sarebbe la ragione della scelta del pittore. La memoria di un luogo sacro da sempre, un luogo di acqua – che è anche simbologia mariana – benedetta. E l’angolazione originaria della cappella, scelta perchè i raggi del sole la illuminassero, come nei versi dell’Apocalisse: «E un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole(…) Ha un bimbo in seno e grida presa dalle doglie del parto».
Questa è la storia secolare interrotta a Monterchi, e messa sotto chiave in un piccolo museo. Dove tuttavia qualche donna porta ancora delle rose, perchè sua madre, o sua nonna, le ha raccontato di una devozione antica. Don Vasco, che ha 74 anni, e la signora Matilde, e i credenti di Monterchi aspettano che la loro Madonna torni a casa.

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