Non di rado mi capita di accompagnare persone nella visita di una chiesa.  Di solito riprendo il metodo utilizzato in questo blog, ovvero costruisco un itinerario fatto di arte, testo biblico, liturgia, filosofia. Il riscontro più bello è quando gli stessi parrocchiani della chiesa visitata ti dicono: “ho visto quanto ho sempre avuto, senza mai accorgermene, sotto gli occhi”.

In effetti, mediamente, le chiese sono percepite come sale funzionali dove si prega e si prende messa. Anche lì dove c’è una certa attenzione alle fattezze della chiesa, solitamente non si va oltre al mi piace – non mi piace. L’edificio chiesa inteso come Corpo Mistico e letto nell’unità delle sue parti  rimane sconosciuto, con il rischio di risultare non un mistero da scoprire ma un enigma, alla fin fine, facilmente scansabile.

Vien da pensare, allora, a quei libri che le parrocchie fanno sulla propria parrocchia, specie in occasione di ricorrenze importanti. E vien da pensare al fatto che, il più delle volte, il capitolo dedicato alla chiesa parrocchiale venga affrontato dal punto di vista strettamente storico. Così è facile trovare riprodotte decine di pagine di vecchi manoscritti e antichi elenchi che ricapitolano quanti scudi fosse costato il ciborio, quanti fiorini il candeliere, quante lire l’acquasantiera, quanti marenghi la pala d’altare. E poi ci sono pagine e pagine dello storico dell’arte che di quel pittore che ha fatto quel dipinto lì ti dice tutte le altre opere che ha fatto di qua e di là. Rare le volte che si trovino alcune pagine dedicate all’architettura e all’arte della chiesa lette attraverso la liturgia. Quasi che chi ha fatto e pagato la chiesa abbia fatto e pagato la chiesa perché fossero rammentati soldi e nomi di chi ha fatto e pagato la chiesa.


3 risposte a “La memoria che conta”

  1. Avatar Carlo Susa

    Bellissimo post. Speriamo possa diventare anche utilissimo!
    Il discorso peraltro andrebbe allargato anche alle “visite guidate” delle chiese più importanti e, più in generale, alla storia dell’arte. Si imposta tutto il discorso sull’aspetto storico e su quello artistico, intendendo quest’ultimo termine nella sua accezione più contemporanea, vale a dire più “personalistica” e “particolaristica” (chi ha realizzato l’opera, quando, a quale tendenza artistica appartiene, talvolta chi gliel’ha commissionata ecc.). Come forse ti ho già detto a voce, un’esperienza sbalorditiva, da questo punto di vista, è stata per me scoprire che gli storici dell’arte tardo-medievale non si pongono nemmeno il problema di verificare se un crocifisso ligneo che stanno studiando abbia le braccia snodabili o meno. Questo significa che a loro non interessa la funzione per la quale l’oggetto è stato realizzato: per loro un crocifisso è semplicemente un oggetto “d’arredo” che si appende a una parete da qualche parte in una chiesa o in ambienti limitrofi! Premettto che non è il mio campo, ma non ricordo un grande studioso italiano d’arte medievale e moderna che sia esperto di liturgia. Eppure sarebbe fondamentale conoscerne i fondamenti per comprendere la natura profonda delle opere che si studiano.
    Alla fine, credo che i curatori dei “libretti parrocchiali”, ai quali si fa riferimento nel post, non facciano altro che riflettere questo atteggiamento generale, che solo negli ultimi anni è stato messo in discussione da alcuni giovani studiosi.

  2. Avatar lc

    A scuola, il mio approccio all’arte è passato attraverso l’Argan, come molti immagino. Io ricordo solo poche idee e sequenze interminabili di aggettivi più o meno ispirati.
    Ora, a parte i casi più “ideologici”, nessuno può negare il valore della ricerca storica, che è presupposto per inquadrare e comprendere l’opera. Il problema è che la presentazione dell’opera, perfino in ambito ecclesiale, è ricalcata sul modello delle schede compilate per la catalogazione dalle varie sovrintendenze. E in effetti, come dici, le opere rischiano di ridursi a complementi “d’arredo”.

  3. Avatar lycopodium
    lycopodium

    Il problema posto da Susa è davvero importante, ma non sarei così pessimista. Credo che almeno i libri di Piva (c/o Jaca Book) e quelli di Bacci e Pastoureau (c/o Laterza) pongano un primo rimedio.

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