Via pulchritudinis – 10

Questo ci hanno mostrato Nietzsche e Shakers: il mistero, espulso dalla ragione, è recuperato attraverso altri mezzi.

Anche Heidegger è uno di quelli che separa ragione e mistero. Eppure sembrava quasi che fosse partito bene con tutto quel brigare su come custodire la differenza di essere ed ente. E invece ha ben presto chiuso in un angolo S.Tommaso (facendogli fare il chiosatore di Aristotele) e schiacciato la metafisica sulla ragione moderna, spacciandola per l’unica circolante. E così, anche grazie a lui, un gran numero di persone pensa che “ragione” sia quella di Cartesio (che poi… che la modernità si apra con un filosofo che scriveva in francese, lingua che fa una fatica boia a distinguere essere, ente, esistenza, la dice già tutta. Giusto per fare un esempio: la Terza Meditazione di René Descartes si intitola: “De Dieu qu’il existe”).

Insomma, Heidegger se la gira come vuole e ci marcia pure sopra. La metafisica per lui altro non sarebbe che la quintessenza della volontà di potenza e dominio, riduzione dell’essere a semplice presenza, a utilizzabile, a cosa, a ni-ente. Ragione e metafisica trovano il loro esito nella potenza della tecnica; ovvero non sono in grado di occuparsi dell’essere, non custodiscono la differenza, la differenza di essere ed ente.

Quello che il Socrate di Nietzsche scongiurava dal fare, Heidegger lo fece: affidò alla poesia la differenza, l’essere, il mistero.

Ecco quindi un piccolo bigino su Heidegger e heideggerismi con cui dovremo fare i conti più avanti.

L’essere non è, l’essere accade.
L’essere accade nel linguaggio. L’essere accade dentro un orizzonte determinato, dentro un reticolo culturale. I mondi storici (con i loro tratti caratteristici di vero e falso, di bene e male…) sono il darsi concreto dell’essere nel linguaggio. L’esser-ci è familiare con un linguaggio, con un orizzonte concreto nel quale l’essere accade.
Uno è il darsi di essere e linguaggio.
L’essere accade solo nel linguaggio.

“L’andare alle cose stesse” (Husserl) si vanifica.
“L’essere che può essere compreso è linguaggio” (Gadamer) si afferma.

E l’essere? e la differenza? Li abbiamo persi dentro il linguaggio, dentro le vetrine del mondo?
Niente paura. L’essere è custodito quando non è ridotto alla semplice presenza di un determinato linguaggio, di uno specifico mondo e della sua perentorietà. Quando le vetrine del mondo cambiano, ecco ricomparire la differenza che custodisce l’essere. La differenza è l’accadere di un nuovo linguaggio, di un nuovo sistema di vetrine. Ci sono eventi inaugurali che rompono la continuità di un mondo e ne inaugurano uno nuovo. Ed è la poesia che istituisce un nuovo linguaggio.

Arrivati, a questo punto, Heidegger invita a non esagerare: la poesia non inizia un nuovo mondo inventando la prima cosa che le viene in mente, come se partisse da un vuoto; la poesia invece risponde a una chiamata. La poesia accede a un originario. C’è uno scollinare nell’altra parte della differenza. Ed è il rapporto che la parola intrattiene col silenzio. La parola scaturisce dal silenzio, dalla differenza, dall’altro, da ciò che non è la parola.

Il silenzio è l’altro, un abisso senza fondo. Tutto può uscire da lì. E scomparirvi.  Ma per Heidegger non ci si accede solo per via negativa. Il silenzio è il Sacro, ciò che sta sopra gli uomini e gli stessi dei. E’ la natura più antica delle età, che diviene e divenendo torna su di sé. E’ il caos, l’aperto, le fauci spalancate, il selvaggio, le forze sempre vive degli Dei. La parola rende accessibile il silenzio, lo mitiga. E allo stesso tempo rischia, si espone, mostra il fianco all’altro, al differente, al nulla che silenzioso chiama.

Ma è nostro, o poeti,
restare a capo scoperto
sotto la tempesta del Dio
afferrare con la propria mano
il raggio del Padre,
porgere al popolo il dono divino
circonfuso dal canto.

[i vari corsivi sono tratti dalla poesia di Hölderlin, Wie wenn am Feiertage, assolutamente da leggere integralmente per comprendere questa parte di Heidegger]

Ora, questa “differenza”, questo “altro” di Heidegger è diventato paradigma per parlare di Dio. Anche tra i cristiani. E questa sarà la prossima questione.

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